E' ARRIVATO PIETRO GORI...
Il 2 agosto 1903 tre giovani socialisti appena ventenni, Ezio
Bartalini, Oreste Donati ed Ugo Poggi fecero uscire a Genova
il primo numero della rivista La Pace, giornale pacifista
ed antimilitarista. La testata era stata disegnata da Plinio
Nomellini e raffigurava una donna seduta di spalle di fronte
alla tomba di un soldato caduto.
Fra le tante adesioni e le tante parole di augurio fatte al nuovo
giornale da parte di personaggi più o meno noti, non poteva
mancare quella di Pietro Gori, una delle figure più prestigiose
dellanarchismo italiano. Pur avendo solo trentottanni,
il giovane avvocato toscano aveva già alle spalle un percorso
politico considerevole al servizio dellanarchia.
Nel 1902 era ritornato in Italia, grazie ad unamnistia:
nel 1898 era, infatti, fuggito in Sudamerica, dopo una condanna
a 12 anni di carcere dopo i moti avvenuti in quello stesso anno.
Nel frattempo lItalia aveva conosciuto i primi cambiamenti
del nuovo secolo: Gori aveva lasciato lItalia sotto i cannoni
di Bava Beccaris, regnante Umberto I e vi ritornava sotto il
regno di Vittorio Emanuele III e il governo del liberale progressista
Zanardelli. Il cosiddetto re buono era stato ucciso
nel 1900 da un anarchico venuto dallAmerica,
Gaetano Bresci, 3 e lo stesso Gori aveva visto nel regicidio
il riflesso della violenza usata dallo Stato monarchico contro
il popolo.
Gori morì prematuramente nel 1911: gli ultimi anni della
sua vita li trascorrerà nellItalia giolittiana (salvo
un viaggio compiuto nel 1904 in Egitto ed in Palestina), dedicandosi
allattività di conferenziere brillante e ricercato
dal pubblico più o meno colto, nonché a quella
di avvocato. Fu proprio in questa veste, insieme ad Enrico Ferri
ed Antonio Pellegrini, che difese i giovani redattori della Pace
in uno dei tanti processi celebrati contro il giornale durante
la sua esistenza.
Nacque così unamicizia profonda fra il giovane Ezio
Bartalini e lavvocato anarchico, proprio in un periodo
in cui iniziavano a manifestarsi i segni della malattia che avrebbe
portato Gori alla tomba (una grave forma di tubercolosi), in
uno straziante degrado fisico che Armando Borghi, che lo vide
per lultima volta a Portoferraio, dove morì, nel
1910, così descrisse, era irriconoscibile (
)
doveva restare seduto su un seggiolone a braccioli, nel quale
una traversa fungeva da tavola. Si sforzava di apparire indifferente.
Era uno strazio.
In questi ultimi anni della sua vita Gori era già un mito,
un simbolo anche per le nuove generazioni sia anarchiche sia
socialiste. Come ha scritto U.Marzocchi , era loratore
anarchico per eccellenza: un ragionatore carico di potenza e
di vita, il cui vocabolario era una tavolozza magnifica: (
)
La voce morbida e sonora vibra, nella dolce e aristocratica cadenza
leggermente toscana.
Le sue conferenze in giro per lItalia non erano soltanto
di argomento politico; resteranno famose quelle intitolate Dalla
terra dei Faraoni alla patria di Gesù, frutto del
suo viaggio in Egitto ed in Palestina nel 1904 e da cui aveva
tratto un notevole materiale fotografico, che aveva poi trasformato
in diapositive da proiettare durante gli incontri pubblici.
Questa conferenza specifica era loccasione, oltre a mostrare
luoghi esotici per gli italiani del primo Novecento, anche per
contrapporre la tirannica forza brutale, malvagia
dei Faraoni al messaggio di amore universale di Gesù
(un Cristo di cui si sottolineava laspetto del ribelle
fustigatore dei mercanti del tempio o quello che
ardiva levare la voce contro i ricchi) e molti anni dopo
un testimone ricordava ancora come questa conferenza venne tenuta
anche al Teatro Massimo di Palermo alla presenza del ministro
Maiorana e del cardinale Svampa, a conferma del fascino culturale
di Gori che conquistava anche personalità assai distanti,
ideologicamente, da lui. 6
In altre sue conferenze mostrava anche le diapositive di un altro
e più impegnativo viaggio, quello compiuto per conto della
Società Geografica Argentina nel 1900 in Patagonia e nella
Terra del Fuoco, allora in gran parte ancora sconosciuta agli
europei, a cui seguirà un altro viaggio lungo il Paranà,
nel Chaco e fra le tribù indigene della foresta equatoriale.
Nel viaggio in Patagonia e in Terra del Fuoco lo accompagnò
il pittore livornese Angelo Tommasi (1858-1923), lautore
del celebre dipinto Gli emigranti (1895, Galleria di Arte Moderna
di Roma). |