Il poeta è morto. È morto ad aprile (au printemps)
come aveva previsto. È morto senza poter dare una sistemazione
definitiva(?) alle sue opere; e di questo si rammaricava soprattutto,
quando capì che la sua sorte, segnata da tempo, non gli
avrebbe lasciato che pochi giorni. E anche questi in una quasi
totale impotenza, ricoverato in ospedale con tubi al naso e alle
braccia. Rimpiangeva di non avere ancora un anno, per sistemare
i suoi figli (così chiamava le sue poesie) e mi pregò
di non lasciarli orfani, di prendersi cura di loro.
Liquidò velocemente tutto il resto, con un testamento
che assegnava in beneficienza tutti i suoi beni; con un paio
di incontri con un sacerdote e poche parole a chi gli faceva
visita. Solo la mia presenza gli interessava (non lo dico per
vanità) e anch'essa solo per parlare delle sue poesie,
per aiutarmi a capire, con incontri quasi quotidiani di qualche
ora, in cui parlava con affanno, ma volando alto col pensiero,
lucido, logico, senza compromessi. Ed io, soprattutto, facevo
domande e ascoltavo, affascinato da quel mondo che mi proponeva,
e insieme addolorato per quel corpo che si degradava un pò
ogni giorno, fino a quando, senza che neppure io potessi prevederlo,
all'improvviso lo trovai stravolto e lontano in un coma che durò
due giorni, in cui l'unica cosa che potessi fare, era offrirgli
la mano, che stringeva forse d'istinto.
Poi il poeta è morto. Il poeta, io non ho dubbi; e questa
sola parola ho fatto incidere sulla sua lapide, quasi a gridare
con forza uno status che mi sentivo in grado di tributargli,
dopo avere passato la vita nelle aule di liceo spiegando ai giovani
cos'era la poesia e cos'era un poeta. La mia professione e gli
studi di una vita mi autorizzavano ad insignirlo di quel titolo,
che egli era certo di meritare.
Negli ultimi anni, trasandato nell'aspetto (anche per la malattia,
ma non solo), capelli lunghi, barba per lo più incolta,
ventre gonfio, vestito sciattamente, con lo sguardo febbrile,
poteva sembrare un poeta maledetto; e poeta lo era;
maledetto no, anzi.
Partito dalla fede, in un itinerario complesso e contorto, era
approdato al marxismo e, quindi, al materialismo, impegnandosi
in politica nelle file del PCI. Poi, dopo anni, aveva rotto con
i compagni; si sentiva tradito, incompreso, addirittura perseguitato
(una vera e propria psicosi di cui non sempre aveva chiarezza)
e si era allontanato da quella esperienza politica ed era ritornato
alla fede nella sua accezione più intensa.
Ne discuteva con profondità, mostrando la sua ricca competenza
filosofica, argomentando con Platone, Plotino, Kant, Hegel, ma
anche con non minore competenza letteraria, con Dante, Petrarca
e molti autori più vicini ai nostri tempi, verso i quali
si sentiva debitore nel suo fare poesia, fino a Dino Campana,
che nella sua mente era divenuto un compagno di sventura, un
fratello o, addirittura, un suo alter ego.
E di poesia parlava, con una padronanza altissima, citando i
Greci e i Latini, intriso di una cultura classica (letteraria
e filosofica, come ho già detto) vissuta e verificata
sulla propria pelle .
E negli ultimi due anni della sua vita, quando il male glielo
concedeva, conciato come un barbone, cercava riconoscimenti al
suo lavoro di poeta (che per lui era dare un senso a tutta la
sua vita; altrimenti il nulla).
Proponeva sillogi delle sue poesie, libelli da lui confezionati,
a quelli che riteneva avessero i crismi per una approvazione,
ma non l'ottenne; non fu capito; e di questo soffriva.
Io solo gli davo un pò di spazio (solo un pò perché
in passato temevo le sue logorroiche disquisizioni,
che a volte mi tenevano per ore al telefono).
Sapevo che si era dilettato a scrivere poesie in gioventù
come tanti, ma non sapevo che avesse fatto di quello il motivo
della sua vita. Quando cominciò a propormi le sue opere
ero prevenuto ed un pò infastidito, ma quando cominciai
a leggere con attenzione quei dattiloscritti (che egli sapeva
tutti a memoria e recitava intonandoli, con estrema attenzione
ai piani, ai forti, ai silenzi, alla musicalità) cominciai
ad entrare in un mondo meraviglioso, che più leggevo più
riuscivo a comprendere, facendo ricorso a tutta la mia preparazione
professionale, e attraverso i miti di Icaro o di Orfeo, di Sisifo
o di Tantalo, penetrai nel vissuto interiore di quel mio grande
amico, originale, moderno, classico, profondo, vivo, emozionante,
studiato e sincero fino all'assoluto.
Ma che genere di poesie sono quelle di Marco? Lirica, nella
sua molteplice e più pura accezione. La storia di unanima
(per dirla con Leopardi), delle sue più intense emozioni:
gioie, dolori, intuizioni, scoperte, spaventi. Varia, ma studiatissima
nella prosodia e nella metrica (anche quando sembra dimessa),
ricca di inflessioni e di echi, ma insieme originale. Ed anche
in lingua straniera, specie inglese, spagnolo, francese (a parte
riferimenti in latino e in greco).
Ma è, prevalentemente, poesia d'amore, amore-passione
per una donna, per la donna. In paesaggi boschivi o urbani, rarefatti
o oppressivi, demoniaci o edenici. E gli astri, e il cielo e
il mare. È una poesia ricca di simboli e di referenze
mitiche (e il mito e la sua interpretazione sono alla base dell'interpretazione
della poesia stessa).
L'amore che anela al possesso. lo sogna lo cerca, lo consuma.
Ma è un amore impuro, è male, è colpa, è
peccato. Manca del crisma della santità, e allora è
angoscia, tormento, un grido ripetuto di disperazione. La donna
affascina, ma è chimera, è inganno, è contaminazione
.
Ecco il miasma per cui si cerca invano, disperatamente un lavacro,
una purificazione.
In questi amori, in questi mondi ci sono gli scacchi dell'infanzia,
le illusioni tradite della gioventù, la maturità
scoperta e persa, l'angoscia dolente e il sogno della morte.
Ma anche uno spiraglio di salvezza, lontana quanto il cielo,
forse raggiungibile quando, dopo l'esistenza terrena, questo
platonico rispecchiamento imperfetto e larvale, la Vita arriderà
in pieno, il poeta ritroverà sua madre nel giardino dell'Eden,
in mezzo a luce e a fiori perenni.
La madre, a cui dedica alcune delle ultime liriche, con una dolcezza
disperata, con un amore, quello sì sacro.
Quest'uomo incompreso che con angoscia si definiva
Sentiva di aver sbagliato la sua vita. Sentiva di avere delle
qualità ma di non aver saputo trovare un giusto rapporto
col potere, di aver subìto uno smacco in gioventù
(Icaro maledetto), e poi altri e altri per tutta la vita. Ogni
cosa dominata dal consumo, dall'inganno della necessità,
dall'inquinamento della mente e del cuore.
E la poesia come unica via di salvezza, e di riscatto; conquistare
uno status dignitoso; essere saggio e poeta, cogliere
e tramandare la verità a un mondo pronto a cadere in un
nuovo olocausto, dopo i tanti della storia.
Un poeta romantico in fondo, alla ricerca della parola
che possa salvare il mondo, dell'infinito che possa essere percepito
e conquistato, forse goduto.
La malattia (mentale) è spesso richiamata nei versi, in
una coscienza amara, ma circoscritta. Un altro male,
quello di vivere, è presente in filigrana
in tutta l'opera. E il sentirsi escluso, emarginato, rifiutato
da un mondo crudele, cinico, dove i puri passano per inetti,
per incapaci, se non per mascalzoni. E il mondo miscela inesorabilmente
le sue primavere, lo smalto dei colori, la vita vegetale e animale,
innocente e accogliente con l'azione dell'uomo, con l'alienante
e perversa crudeltà che produce màrtiri; e in questi
il poeta si riconosce, sperando un premio anche in questa terra,
se giustizia trionfasse, ma certo nell'altra, in quella perfetta
e vera.
Le poesie sono un corpus ampio e complesso, frutto
di un lavoro di tutta la vita, sono il lavoro di
una vita, quello che riscatterà il poeta agli occhi di
tutti. È più che una speranza, è quasi una
certezza. E per questo sono curate con un amore quasi spasmodico
nel lessico, nella ritmica, nel suono, oltre che nel contenuto.
Il linguaggio è ora alto e solenne, ora ironico e piano,
ora spezzato e gridato, ora calmo e luminoso; vario, insomma,
come è in ogni vero poeta. E non si prendano per errori
di stampa o per limiti di competenza grammaticale certi costrutti,
che sono sempre frutto di scelte consapevoli.
Le donne centrali nella storia di questo amore, grande e travagliato
(a parte archetipi giovanili e talvolta adolescenziali) sono
due. La fidanzata- moglie, accarezzata, prima, sognata e celebrata,
rinnegata poi per difetti e per crimini (forse, in realtà
solo suoi, del poeta, inconsciamente perpetrati e subiti) e l'altra
(l'amante), con cui esperimenta l'iter conoscitivo dell'uomo
nel rapporto con la dimensione femminile. Boschi e spiaggie (reali,
biografici) col sole e con la luna, in incontri furtivi e dirompenti,
nell'esplosione del sesso e nell'annichilimento della colpa,
della impurità, nell'assenza del Bene. Nella sconfitta
ripetuta all'infinito. Nella caduta, ancora una volta. Fino a
che non ci si può più rialzare, se non recuperando
la purezza perduta.
Le poesie sono state composte nell'arco di tutta la vita, anche
se solo alcune riportano l'anno di composizione. Ma sono state
poi utilizzate in contesti strutturali che prescindono completamente
dal periodo di composizione. Il poeta ha fatto alcune sillogi
(con l'intenzione di farle leggere, come ho detto), ma occasionali
e anch'esse non rigorosamente cronologiche e nei sei volumetti
che mi ha lasciato, ritornano tutte (escluse poche cose giovanili,
palesemente modeste, accademiche) in una successione logica,
che ne fa un canzoniere, una storia di unanima, che prescinde
dall'anno di composizione. Diverse liriche, poi, sono presenti,
identiche, in più contesti da cui non possono essere separate;
il che mi ha indotto a riportarne solo il titolo, dopo la prima
volta in cui compaiono, rimandando per la lettura alla stesura
completa presentata in quella sede, per non ripeterle.
E non sono, si badi bene, delle varianti d'autore. Esse sono
scritte nello stesso identico modo, spesso riproposte in fotocopia.
Delle poesie più antiche penso che abbia conservato solo
quelle che considerava riuscite, capaci cioè
di rappresentare ancora validamente unesperienza significativa
anche negli anni della sua maturità artistica.
Dunque sei volumetti, sei quaderni adattati da lui a volumetti,
con titoli (e talvolta sottotitoli) per ciascuno, con disegni,
alcuni ripetuti ossessivamente, di sua mano e qualche riproduzione
grafica di opere altrui, a comiciare dalla crocifissione di Gauguin,
che fa da copertina al primo volumetto (e alle diverse sillogi
di cui abbiamo parlato).
Un Cristo nel quale evidentemente, si identificava (solo nella
dimensione del martirio ovviamente). Perché martire si
sentiva per sua e/o per altrui colpa (come risulta dal logo
già riportato a pag.10.
E neanche la successione dei volumetti è certa. Non ho
fatto in tempo a farmela dire. Quando, dopo discussioni ampie
e prolungate su singole poesie, o su brani, o su temi e problemi,
capii che il suo tempo a disposizione stava per scadere, (prima
pensavamo entrambi che avremmo avuto molto più tempo per
parlare anche di questo) ci provai,ma era troppo tardi. Sicuramente
so che il primo doveva essere Lisola dei Melograni
e l'ultimo Nuovo olocausto Per gli altri ho dato
l'ordine che mi è parso più logico nello sviluppo
lirico narrativo.
L'autore ha scritto, tra l'altro anche una introduzione ad una
poesia (non abbiamo parlato), che può essere assunta a
introduzione se non generale, almeno parziale di un filone che
attraversa tutta l'opera, la difficoltà a relazionarsi
con la donna e l'inizio della malattia mentale.
Rinaldo Bartaletti |