Per settant'anni il regime comunista ha fatto di tutto per
estirpare il suo ricordo dalla memoria collettiva, se non per
screditarlo, basti pensare che era proibito persino pubblicare
le sue fotografie: il risultato è che le generazioni più
vecchie lo percepiscono ancora come il tiranno coronato,
un autocrate dispotico, succube di una moglie psicotica e reazionaria
e manovrato da un santone folle, responsabile del macello
imperialista, ossia la Prima guerra mondiale, sfruttatore
e bevitore del sangue del proletariato. Spesso la Storia scritta
dai vincitori genera luoghi comuni difficili da sfatare, come
in questo caso, diffusi da settant'anni di storiografia sovietica,
dai film di propaganda comunista imposti nei cinematografi e
dalla vulgata popolare.
Molti testimoni neutrali ne fanno invece un ritratto
diverso: Churchill, ad esempio, ne parlò con indulgenza
e gli riconobbe dei meriti. Tolstoj diceva di lui: «Lo
zar è un brav'uomo, il brutto sono quelli che gli stanno
intorno». Lo stesso Jurovskij, comandante del plotone di
esecuzione che sterminò la famiglia imperiale, lo definì
un uomo semplice e ordinario, dominato dalle donne di casa.
Un membro della Commissione d'Inchiesta Straordinaria a sua
volta scrisse: «È sempre stato più facile
indurre in errore una persona onesta che un uomo malvagio. Il
Sovrano, senza dubbio, era un uomo onesto.» Come stanno
davvero le cose? Fu veramente un tiranno insensibile di fronte
alle sofferenze del suo popolo, oppure un uomo per bene che non
era nato per governare?
La verità, come sempre, sta nel mezzo. Nicola II è
stato il capro espiatorio sul quale il popolo russo si è
vendicato di secoli di ingiustizie; rappresentazione vivente
dell'autocrazia, ha pagato anche per tutti i suoi predecessori,
e pur con tutti i suoi
errori e le sue responsabilità, e per quanto severo possa
essere il giudizio sulla sua figura storica, non c'è paragone
tra i suoi torti e la sua efferata uccisione insieme alla sua
famiglia. Per decenni la vicenda dell'ultimo zar di Russia ha
appassionato il mondo intero per i suoi caratteri romanzeschi,
con un favoloso regno perduto, un erede al trono destinato a
morire nell'infanzia, quattro bionde principesse strappate alla
vita nel fiore degli anni, un oscuro monaco dai poteri soprannaturali,
una sanguinosa rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo, uno
spietato omicidio di massa di donne e bambini: una trama che
sembra scritta apposta per un poema epico, o meglio, per una
tragedia greca che non poteva non appassionare generazioni di
persone. Dopo un secolo di misteri, tra cadaveri mancanti e leggende
di sopravvissuti, oggi c'è una grande esigenza di verità
intorno a questo enigmatico monarca giustiziato senza processo
al quale è stato riconosciuto lo status di vittima del
comunismo. Una verità della quale i russi, ma non solo
loro, sono stati privati per troppo tempo.
A cento anni di distanza, una cosa si può affermare con
certezza: massacrando i Romanov il Bolscevismo ha creato dei
martiri la cui memoria vivrà in eterno. Non si sarebbero
sprecati fiumi di inchiostro da un secolo a questa parte se fossero
stati semplicemente mandati in esilio: la Storia è piena
di regnanti decaduti finiti ben presto nel dimenticatoio, anacronismi
viventi le cui vicende, unitamente a quelle dei loro discendenti,
trovano posto tutt'alpiù nelle pagine dei rotocalchi rosa.
Il brutale assassinio dello Zar martire e dei suoi
familiari, invece, ha posto attorno alle loro teste l'aureola
dei santi, facendone una leggenda mistica che in Russia è
ormai diventata oggetto di culto. Nel centenario esatto dell'eccidio
di Ekaterinburg, il 17 luglio 2018 alle 2.30 del mattino, oltre
100.000 persone hanno partecipato ad una processione di tredici
miglia guidata dal patriarca Kirill dal luogo dell'esecuzione
alla fossa comune dove furono gettati i resti.
In questo senso, lo scantinato di Casa Ipatiev non fu la fine
di tutto, ma solo l'inizio: dopo un lento ma inesorabile giro
della ruota della storia, quello che per tutto il Novecento è
stato demonizzato come Nicola il Sanguinario, dopo
un secolo è diventato Nicola il Santo, al
quale si attribuiscono addirittura miracoli, condizione necessaria
per la canonizzazione.
(continua)
Dall'introduzione al libro. |