MAZZINI L Italia, L'Austria e il Papa a cura di A. Panerini, pref. di Z. Ciuffoletti, Piombino (LI), La Bancarella Editrice, 2005, pp. 129.

Uno scandalo è all'origine di questo scritto di Giuseppe Mazzini. Metternich, il Cancelliere dell'Impero austriaco, teneva sotto controllo l'esule italiano sin dal 1834, dai tempi della fondazione della Giovine Europa. Come ha scritto Zeffiro Ciuffoletti, "il patriota italiano gli apparve come il vero motore della trama rivoluzionaria a livello internazionale" (p. 5), e questo conferma tutta l'importanza e il peso politico che il Nostro ebbe nell'Europa di metà Ottocento. Nei primi anni Quaranta Metternich premette sul governo inglese e ottenne da Lord Aberdeen, ministro degli Esteri, e da Sir James Graham, Ministro degli Interni, che le lettere indirizzate a Mazzini fossero intercettate e il loro contenuto trasmesso all'ambasciatore austriaco a Londra. L'operazione avvenlva ovviamente in segretezza, trattandosi di vero e proprio spionaggio. Dopo cinque mesi, Mazzini cominciò a nutrire i primi sospetti avvalorati da una serie di prove ottenute grazie anche all'aiuto di alcuni amici cartisti, espo
nenti cioè di quel Chartist Movement che fu essenzialmente un movimento democratico della classe operaia inglese, per il quale la rivendicazione dei diritti politicocivili e quella dei diritti sindacali costituivano un unico obiettivo di lotta. Si ebbe così, nel giugno 1844, una petizione alla Camera dei Comuni che denunciò la gravità del fatto, tanto maggiore dato il prestigio di alfiere e garante delle libertà individuali di cui il governo inglese godeva presso l'opinione pubblica democratica nell'Europa della Restaurazione. L'iniziale reazione del governo inglese fu quella di insabbiare la vicenda, ma, come spesso accade, il sassolino lanciato da Mazzini e dai suoi sostenitori fece venire giù una vera e propria valanga. Si scoprì, infatti, che la violazione della posta era pratica quanto mai diffusa, estesa persino alla corrispondenza dei parlamentari inglesi e ai dispacci degli ambasciatori stranieri. Lo scandalo dilagò e la vicenda diventò di pubblico dominio. La reazione scomposta dei due membri del governo direttamente coinvolti favorì ulteriormente l'accreditamento di Mazzmi presso ampi settori di un'opinione pubblica, quella inglese, particolarmente sensibile ai temi della tutela dei diritti e della lotta per la libe rtà.
L'esule italiano colse l'occasione al volo. Decise di scrivere, direttamente in inglese, una lettera aperta che dedicò al ministro Graham, con il titolo Italy, Austria and the Pope, che vide la luce nel maggio 1845. Al corposo opuscolo (ben 140 pagine nell'originale inglese) seguì nell'estate la divulgazione a puntate di ampi brani di esso sulle colonne del "Northern Star", settimanale cartista che all'epoca dichiarava una tiratura di ben centomila copie. Indiscutibile e significativa fu dunque la risonanza della lettera che, tradotta a suo tempo per l'edizione nazionale degli scritti mazziniani, rivede ora la luce come testo a sé stante, per la cura di Andrea Panerini e con la prefazione di Zeffiro Ciuffoletti. Un'ottima iniziativa per contribuire alle celebrazioni del bicentenario della nascita di Mazzini.
Il comportamento tenuto dal governo inglese offrì a Mazzini l'occasione di perorare la causa italiana in terra inglese, riscuotendo un'attenzione ed un favore fino ad allora sconosciuti. Anzitutto, mise in luce le contraddizioni fra l'immagine di campione della libertà che l'Inghilterra aveva costruito all'epoca delle coalizioni antinapoleoniche, e di cui ancora beneficiava, e la politica estera effettivamente condotta dopo la Restaurazione. Tale politica
si basava su una teoria del "nonintervento", su una posizione di assoluta neutralità che, nei fatti, era appoggio all'Impero austriaco e sostegno dello stata quo internazionale. Il 4 luglio 1844, in parlamento, Wellington aveva dichiarato che la politica dell'Inghilterra aveva come fine "non solamente di rimanere in pace con tutti, ma cli mantenere pace per ogni dove, e promuovere l'indipendenza, la sicurezza e la prosperità d'ogni altra terra nel mondo" (p. 21). Ma qui Mazzini obietta che senza libertà e democrazia, intesa come "armonia tra i governanti e i governati", non si dà alcuna pace degna di questo nome. La formula che il governo inglese oramai seguiva era questa l'accusa di Mazzini "libertà per noi, tirannide per gli altri" (p. 20), e risultava davvero offensivo per le centinaia di patrioti italiani morti e imprigionati in quasi trent'anni di governo asburgico restaurato dopo il 1815 sostenere, sempre da parte inglese, che l'Austria esprimeva sul suolo italiano un governo "paterno" e comprensivo. Anche questa azzardata affermazione di Graham consentiva a Mazzini di rendere edotta l'opinione pubblica inglese della reale situazione italiana, ignorata e trascurata dai più: "il nostro governo è un giogo straniero, il quale ci priva di ciò che al mondo è più prezioso per un uomo, l'Indipendenza, l'Iniziativa, la Libertà" (p. 26). Oltre all'occupazione del LombardoVeneto, l'Austria esercitava un controllo indiretto sugli altri governi dispotici presenti nella penisola, costituendone il braccio armato nei momenti di pericolo. Momenti che, da episodi isolati, erano diventati sempre più frequenti, sintomo di un malcontento diffuso e crescente e sovente spontaneo. L'Austria, come lo Stato Pontificio, constatava pertanto una progressiva perdita di consenso presso la popolazione italiana. La situazione politica restava però quanto mai tragica per il popolo italiano. Mazzini la sintetizzava in questi termini: "li Papa è la croce, l'impugnatura di una spada, di cui l'Austria è la punta; e questa spada pende sul capo di tutta Italia. ll Papa tiene ne' suoi artigli l'anima della nazione italiana; l'Austria, il corpo, dovunque manifesti segni di vita; e in ogni membro di quel corpo è insediato un minuscolo principe assoluto, che a sua volta è viceré sotto l'una o l'altra di quelle Potenze. Tre despotismi invece di uno!" (p. 69).
Che l'Inghilterra si rendesse complice di una simile ingiustizia era cosa inammissibile, così come il fatto che l'attività di Mazzini e
di altri patrioti italiani fosse censurata in quanto cospirazione e istigazione alla rivolta. Ciò significava ignorare l'abissale differenza tra la situazione politica inglese e quella italiana. E così Mazzini insisteva nel mostrare la contraddizione fra quel che il governo inglese predicava e quel che concretamente faceva: "Non potete censurare o ripudiare i nostri mezzi d'azione, i soli che ci rimangono, senza dichiarare implicitamente che il dispotismo è una buona cosa, che la libertà di cui l'Inghilterra si vanta è un male" (p. 80).
In questa lunga lettera, Mazzini si faceva dunque portavoce di un vero e proprio appello all'interventismo democratico, legittimando l'ingerenza di uno Stato democratico nella politica interna di un governo straniero quando quest'ultimo risultasse palesemente violatore dei principi della libertà e della democrazia. Un'ingerenza che, nel caso specifico, avrebbe dovuto tradursi nel pieno sostegno alla causa dell'unificazione politica dell'Italia, nazione omogenea per lingua e tradizioni al pari della Francia e della stessa Inghilterra. Farsi paese di ospitalità dei rifugiati politici era poca cosa, quando consapevolmente si lasciava che l'ingiustizia e l'oppressione regnassero sotto dei governi alleati. Questo era il comportamento tenuto dall'Inghilterra nei confronti dell'Austria. E non era argomento fondato nemmeno quello secondo cui l'amministrazione asburgica favoriva il benessere materiale. La Lombardia e il Veneto erano floridi nonostante la presenza straniera, grazie solo all'ingegno e alle virtù operose della popolazione autoctona. Ma, secondo Mazzini, benessere e libertà non potevano a lungo procedere disgiunte. Alla amministrazione ingiusta seguiva sempre, più o meno rapidamente, l'amministrazione inefficiente e corrotta, come mostravano del resto i settori dell'istruzione e della giustizia nel LombardoVeneto, descritti nella lettera con dovizia di esempi.
Ancora un'ultima considerazione Mazzini la riservava all'Inghilterra, più precisamente al suo popolo. Ai governati inglesi si appellava nelle pagine finali della sua appassionata lettera di denuncia, chiedendo loro di cancellare il disonore gettato dai loro governanti sul prestigio della nazione. Era un invito a sfiduciare il governo in carica, e a sosteneme uno capace di rispecchiare quel senso morale che il popolo inglese pareva avere temporaneamente
so. La moralforce di cui parla Mazzini è cosa ben diversa dalla violenza. E la coscienza che tra ogni affermazione di principio (giusto e condiviso) e la sua applicazione deve esserci sempre una stretta connessione. Occorre avere il coraggio di applicare con coerenza quel che si afferma come valore politico universale: se si condanna la schiavitù dei neri, e se ne chiede l'abolizione, scriveva Mazzini, come si fa poi a tollerare quella dei bianchi? La neutralità sui principi di libertà e democrazia, e dunque l'indifferenza e la passività politica di fronte alle tirannie, denunciano un cattivo stato di salute di una nazione, perché solo "un popolo morale trova sempre un governo degno di sé" (p. 102). D'altro canto, Mazzini era convinto che in tempi brevi si sarebbe assistito al sorgere di nuove nazionalità compiute sotto forma di Stati liberi e indipendenti. Se l'inghilterra non avesse recuperato la propria forza morale, mostrandosi coerente tra il suo dire e il suo fare politica estera, avrebbe perso i sentimenti di gratitudine e simpatia in passato nutriti dalle nuove nazionalità emergenti e il suo primato di potenza mondiale avrebbe potuto risentirne gravemente. Come a dire che virtù e interesse, idealismo e realismo non sono necessariamente termini antitetici, non almeno nella gestione delle relazioni internazionali e nella risoluzione delle eventuali controversie fra Stati.

D. Breschi