Questa piccola silloge di poesie del giovane poeta Nicola
Lotto è densa di contenuto e di riferimenti, per cui non
è affatto semplice cercare di dare un'indicazione al lettore
su quali chiavi di lettura si possono cercare di intraprendere
nel testo. L'elemento che più mi è venuto sotto
gli occhi è quello religioso. Ho appena finito uno studio
personale sul libro dell'Ecclesiaste, il testo forse più
marcatamente filosofico ed esistenziale della Bibbia e questo
volume sembra una ideale risposta a tratti discorde, a
tratti complementare proprio a quel complicato e a tratti
misterioso testo (nella tradizione scritto dal re Salomone).
Dio è irriso (s'accinge alla cena / seduto in strada /
con compagni vagabondi), è compianto. Quello che compie
Lotto è una dissacrazione dell'elemento religioso, ridotto
in una visione di minimalismo e pessimismo cosmico
ma al tempo stesso la sua visione laica è un'analisi profonda
ed esistenziale dell'apriori spirituale che ognuno di noi possiede.
I riferimenti alla Madonna (uno su tutti: come una madre / e
il suo grembo stanco) costituiscono più una visione femminile
e materna riconducibile al culto della fertilità nelle
civiltà mediterranee che una glorificazione del culto
mariano proprio della teologia cattolica. Lotto parla delle bellezze
del creato, di cui la più fatua è proprio quella
rappresentata dalla donna, creatrice di amarezza e disillusione
oltre che di tormento interiore. Alla fine, leggendo i versi
di questa silloge, sembra davvero di trovarsi davanti a una versione
post-moderna del testo biblico, la cui conclusione è che
tutto è vanità e la via per non soffrire è
una fuga dalla quotidianità, dal correre dietro al vento
inutilmente (parole vuote e polvere nel vento). Il sacro viene
ricondotto all'essenziale e la disillusione si allarga fino a
comprendere dottrine e ideologie descritte come abiti nuovi /
vecchie macchie, con una espressione, a mio giudizio, destinata
a un cadere nell'oblio nel panorama poetico italiano. Ecco, l'uomo
dove si colloca in questa visione? L'uomo è cenere, è
l'impotenza personificata, è colore che langue, pianto
sconsolato che si allarga fino a sommergere l'umanità.
Il mare, elemento romantico per eccellenza, è visto come
culla di morte, come alienazione del sacro, esemplificazione
dell'inquietudine dell'essere umano, dell'infido che si nasconde
in ognuno di noi. L'uomo è stanco e perviene ad un suo
personale Golgota fatto di mistificazioni e miserie interiori.
La conclusione, però, a cui perviene Lotto non è
di rassegnazione totale, c'è una speranza e un obbiettivo:
ripopolare il mare di sirene / ripopolare la terra di Dei. La
sirena è la controparte femminile (o per meglio dire,
amorosa in generale) che dovrebbe far quietare il mare tempestoso
delle sofferenze umane, mentre il ripopolamento della terra da
parte di Dei allude ad una visione escatologica in cui, al termine
dell'umanità, la divinità stessa sarà fusa
nella sua umanità pregnante.
Lo stile dell'autore è in realtà spurio ed assorbe
più correnti del Novecento letterario. Indugia, a volte,
nella poesia-racconto per andare poi ad esplorare uno stile molto
asciutto, fatto di versicoli brevi e secchi, che riflettono un'emozione
nuda. La poesia di Lotto è piena di domande, a volte esistenziali
a volte retoriche, mai banali o scontate. I riferimenti letterari
spaziano dal romanticismo ottocentesco alla poesia esistenziale
di Cesare Pavese passando per Gozzano e Corazzini attraverso
una rilettura post-moderna dell'ermetismo europeo, per cui non
è affatto facile collocare questo autore in una corrente
sia di pensiero che stilistica. La sintesi, però, è
in gran parte felicemente riuscita, dando spazio a una poesia
che non dimentica le sue molteplici radici ma che tenta una partita
di originalità, pur all'interno di temi ovviamente non
originali e trattati, pensati e cucinati per millenni
da pensatori e poeti.
Un volume importante e inatteso, scritto da un autore che ancora
avrà molto da dire nel nostro panorama letterario, e che
lascerà diverse tracce nel nostro panorama letterario,
se saprà sfuggire da condizionamenti e facili scappatoie
stilistiche.
Andrea Panerini |