Doppio riflesso racconto di Francesca Bianchi |
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Il capannone risplendeva nella luce del mattino come se fosse
stato tirato a lucido di recente, con le grigie lamiere ondulate
precisamente allineate, a formare un grosso parallelepipedo incastonato
nella vallata , coltivata a girasoli, lunico punto colorato
nellimmensità verdeggiante che circondava la fabbrica
di utensili.
Allinterno si udivano suoni ritmati di martelli e seghe
impegnati nella lavorazione del ferro, vetro ,legno e un infinità
daltri materiali, mentre gli operai canticchiavano stonando
canzoni daltri tempi o discutevano sugli ultimi eventi del
paese distante un paio di chilometri
Tra un vociare e un ritornello, saettavano risate soffocate e
richiami di capisquadra attenti alla produzione, che non badavano
molto alla distrazione di questo o quellaltro operaio; limportante
era la buona riuscita del lavoro, e per fortuna i risultati ottenuti
facevano sperare nella solita giornata tranquilla, senza rilevanti
imprevisti.
Non si erano mai verificati casi dinsubordinazione, il personale
era esperto e attento, gli apprendisti simpegnavano assiduamente
e il tutto creava unarmonia veramente straordinaria.
La fabbrica, formata da un unico ambiente spazioso, ospitava circa
trecento addetti suddivisi in trenta squadre specializzate, ciascuna
si occupava della lavorazione specifica di un prodotto, in tutta
la sua fase di lavorazione, dalla materia prima allutensile
finito; ogni caposquadra aveva nove operai, tra i quali tre nuovi
apprendisti reclutati ogni cinque anni tra i giovani del paese,
che andavano a sostituire gli anziani del gruppo prossimi alla
pensione.
Essere scelti dagli esaminatori della fabbrica era considerato
un fatto di grande prestigio, non solo perché una volta
entrati nel ciclo produttivo si raggiungeva una certa posizione
sociale, ma anche perché i criteri di selezione erano particolarmente
severi , e questo faceva si che i prescelti avessero nomea di
affidabilità, correttezza, senso pratico e spiccate doti
manuali.
Inoltre, una volta conclusa la loro vita lavorativa, magari come
caposquadra, avevano un facile accesso alle più alte cariche
direttive e rappresentative della comunità.
Una volta scelti gli apprendisti venivano suddivisi in base alle
loro caratteristiche fisiche più vicine al tipo di prodotto
che avrebbero lavorato: quelli di legno sarebbero diventati legnaioli,
quelli costruiti in ferro avrebbero lavorato nel reparto ferramenta,
coloro che erano di vetro o di specchio in vetreria
.
Il nostro paese infatti, aveva come abitanti degli strani oggetti
a forma di cucchiai, piatti, stoviglie,arnesi, suppellettili,
ciascuno dei quali aveva braccia, gambe, naso, bocca ,occhi proprio
come le persone in carne ed ossa, solo che al posto dei piedi
i cucchiai avevano delle piccolissime forchette a cinque punte,
così come le mani, ed erano articolate e prensili come
se fossero state umane.
I piatti avevano gambe e braccia di porcellana, come quelle delle
statuine, al posto del naso il beccuccio della teiera come occhi,
due bicchierini per le uova a la coque.
Cerano mestoli di legno senza le gambe, appoggiati a dei
sottobicchieri in sughero, infatti si spostavano saltellando qua
e là e lasciavano delle orme rotonde sul terreno.
A volte nei giorni di pioggia capitava di vederli imprigionati
nel fango, fino a che qualche passante non andava a liberarli,
così che , nelle giornate particolarmente piovose, quando
il terreno non era altro che un acquitrino colloso, erano esonerati
dal recarsi al lavoro.
Loperai caffettiera si spostavano pattinando su rotelle
tagliapasta, disegnando delle scie dentate al loro passaggio,
mentre sopra il coperchio stavano due tasti della macchina da
scrivere con la lettera O al posto degli occhi e afferravano gli
oggetti con delle pinzette per le sopracciglia.
Erano addetti alla fabbricazione di altri esserini a forma di
moka o di simpatici pentolini con la bocca di bullone, il naso
a vite e come occhi delle piccolissime lampadine accese.
Questa strana fabbrica era la nursery di quello strano mondo dove
gli oggetti prendevano forma propria e vita autonoma, soddisfacevano
tutte le richieste di tutti i paeselli e le città di quella
popolazione di utensili; come nel nostro mondo infatti, dove ci
sono le persone nere, rosse, gialle, anche lì ogni città
aveva delle caratteristiche somatiche diverse, mescolate tra loro,
in pace o in guerra.
Da matrimoni misti potevano venire fuori oggetti di più
materiali, in parte di vetro, in parte di ferro, oppure di plastica;
solo che i bambini erano commissionati alla fabbrica dei nascituri,
dove si studiavano le caratteristiche fisiche dei due futuri genitori
e si produceva la loro simbiosi.
Immaginatevi quanto lavoro ci potesse essere e quanto fosse considerato
importante!
Quello strano mondo non era molto lontano dal nostro, anzi era
solo a pochi passi, ma non era visibile al nostro, si trovava
spostato solamente un po, tanto quanto il confine tra la
realtà e il voler credere che ci possa essere veramente.
Il paese attiguo al capannone quellanno aveva scelto un
apprendista molto particolare, sia per la sua forma , sia perché
aveva sorpassato tutti gli scrutinati che si erano presentati
in fatto di bravura.
Suo nonno, una vecchia pentola a pressione dotata di ruote giocattolo
cingolate , aveva sposato una sveglia che aveva come occhi due
specchietti da cipria, e dalla loro unione era nata la mamma del
giovane apprendista: uno specchio ricurvo con unelegante
bordatura dacciaio inossidabile e come bocca,una valvola
di sicurezza, ereditata dal babbo pentola a pressione.
Questa figlia , a sua volta, si era innamorata e aveva sposato
uno specchietto retrovisore con le gambe a forma di chiave inglese
e due cavatappi al posto delle braccia; agli occhi di tutto il
paese era una coppia così bella, ma così bella da
richiedere addirittura il lavoro straordinario di due squadre
doperai specializzati per la costruzione del loro figliolo,
arrivato puntuale poche settimane dopo la commissione, lucido,
brillante, nuovissimo,un incanto a vedersi, uno spettacolo di
tecnica e bravura, lorgoglio dellazienda e della famiglia.
Venne chiamato Doppio Riflesso.
Aveva infatti, come capo, uno specchio a doppia faccia, di quelli
che riflettono le cose normalmente da un lato e lo ingrandiscono
dallaltro e quando faceva roteare sul perno la sua testa
, mandava bagliori bellissimi riflettendo la luce e le immagini,
che lui poteva vedere in due modi, a seconda di quale faccia adoperasse.
I suoi occhi erano due lenti a contatto colorate di giallo, così
come il naso e la bocca e li aveva su entrambi i lati della faccia,
così da potere vedere sempre le cose normali o ingrandite.
Le sue braccia erano eleganti forcine madreperlate e le gambe,
lunghe molle argentate con due monete esagonali alle estremità.
Naturalmente tutti stravedevano per lui e non appena ebbe letà
adatta fu portato alla fabbrica e sottoposto al primo test di
prova.
Ora, non che lui non fosse contento di entrare a lavorare con
una mansione così importante, quale sarebbe stata quella
di dare forma ad altre vite, ma visto il suo modo di vedere le
cose, in altre parole sempre da due punti di vista diversi, aveva
anche molti dubbi sul da farsi e specialmente si chiedeva se quel
doppio mondo visto da lui, avesse anche un altro aspetto.
In pratica per lui, le cose avevano sempre due forme e non sapeva
mai quale potesse essere più vicina alla realtà.
Domandarlo agli altri non aveva senso, per loro gli oggetti o
erano grandi oppure piccoli, distanti o vicini, e del resto non
li potevano vedere diversamente.
La prima domanda gli fu rivolta da uno dei veterani, un grosso
martello- telefono- posacenere, il quale sollevando la cornetta,
con voce metallica gli chiese:
«Bene Doppio Riflesso, sapresti dirmi brevemente quale dovrebbe
essere il tuo scopo qui con noi?»-
Papà e mamma, in disparte, ascoltavano trepidanti la risposta
del figlio, sperando di sentirgli pronunciare le parole giuste.
«Io credo..dovrei aiutare i genitori ad avere qualcuno da
accudire, da crescere, che li compensi e li unisca, un ibrido
tra i due, un terzo elemento con le caratteristiche di entrambi,
almeno a vedersi ».
Questultima frase gelò linterlocutore.
«Come solo a vedersi?che volevi dire?».
Doppio Riflesso si girò verso i genitori interdetto e fece
per controbattere, ma intervenne il nonno che continuò
per lui.
« Vede signor Martellefono, mio nipote è timido,
non voleva dire niente se non quello che ha detto:lavorare al
servizio della comunità e per il bene di essa ».
Veramente Doppio Riflesso voleva fare tuttaltro tipo di
discorso,ma la folla era tanta, la paura di non essere capito
aumentava insieme al brusio dei presenti, che fece un cenno con
la testa e abbassò lo sguardo.
Lesaminatore lo squadrò dubbioso e gli indicò
di seguirlo per il resto delle prove pratiche, tutte superate
brillantemente.
La sera a cena, tutta la famiglia era riunita nellattesa
di una risposta,positiva o negativa del signor Martellefono.
Suonò il campanello dingresso, e mentre la nonna
andava ad aprire, mamma incrociava le dita a sonaglio producendo
un sommesso tintinnio.
Entrò un corriere ticchettando sul pavimento per via dei
piedi fatti con dei tasti da pianoforte e consegnò un plico
arrotolato, salutò e zampettando sonoramente uscì
dalla porta.
La nonna tornò in salotto guardando la famigliola in attesa
di notizie,ammiccò verso il nonno,ma questi abbasso lo
sguardo frettolosamente, allora si voltò in altre direzioni,ma
ricevette solo occhiate fuggevoli e schive.
Ancora incerta sul da farsi restava ferma sulla soglia, quando
Doppio Riflesso le si avvicinò tranquillamente e con altrettanta
noncuranza le prese il responso dalle mani,aprendolo con cura.
« Thò !.. Mi hanno preso.»
Un boato di gioia e sollievo si levò nella stanza, pacche,
abbracci ,qualche lacrima e un susseguirsi di» lo sapevo
io, voi eravate tutti dubbiosi », oppure » ero sicurissimo,come
facevate ad aspettarvi il contrario?».
E così quella fu la prima volta nella sua vita in cui Doppio
Riflesso si accorse che per vedere bene come stanno le cose, occorre
molto di più di due soli punti di vista.
Lindomani mattina la nostra matricola si recò sul
posto di lavoro,ansioso e preoccupato,soprattutto di dover incontrare
di nuovo il signor Martellefono, che tanto timore gli aveva suscitato
il giorno precedente, fortunatamente per lui, era assente,poiché
si era recato nella città vicina per soprintendere allacquisto
di nuovi materiali.
Fu affidato ad un certo Trillante, strano incrocio tra un campanello
dingresso e un volante,alto ed imponente responsabile dei
nuovi arrivati.
Questi scorse attentamente la nota di presentazione di Doppio
Riflesso, gli assegnò un armadietto dove riporre le sue
cose e lo condusse allangolo del capannone dove la squadra
dei maestri vetrai era già allopera.
«Bene ragazzo. Squadra numero uno: lavorazione del vetro,specchio
e derivati, il tuo angolo natale, buona fortuna!».
Detto questo ,salutò calorosamente gli altri operai che
risposero in coro, e andò via.
A turno, ciascun addetto a quel settore,gli spiegava il lavoro
da svolgere, facendogli provare le attrezzature e raccontandogli
episodi riguardanti la sua creazione o quella di altri ragazzi
del villaggio, lo trattavano amichevolmente, facevano valutazioni
sul futuro in fabbrica e di come avrebbe trascorso gli anni migliori
della sua vita in quel posto, ma lui rimaneva sempre più
sconcertatola fatto che tutti davano per scontato la sua permanenza
lì.
Non si ponevano neanche il problema di quanto quel lavoro gli
potesse piacere, del resto come poteva saperlo, se erano passate
soltanto due ore da quando vi aveva messo piede;sembrava che tutti
ne sapessero molto più di lui sul suo futuro e questa cosa
cominciava ad infastidire terribilmente Doppio Riflesso, tuttavia
si sforzava di rispondere garbatamente a tutte le domande e di
non far trapelare il proprio disagio.
Finalmente suonò la campana, quella del pranzo e lui si
sedette sconsolato su una pila di gomme per cancellare, cercando
di riordinare i pensieri, mentre stava lentamente realizzando
che forse si era inoltrato in un vicolo cieco, ed il brutto era
che non sapeva nemmeno come aveva fatto ad infilarci , non ricordava
di aver chiesto esplicitamente di entrare a lavorare in quel posto,
ma neppure gli erano state fatte domande sulle sue eventuali aspirazioni.
Quindi i casi erano due: o era stato raggirato, ma non voleva
pensarla in termini così meschini, oppure gli altri pensavano
che così era , perché era sempre stato e doveva
essere.
Questultima ipotesi era più probabile,ma anche più
terrificante; se veramente gli altri si erano sempre aspettati
questo da lui, se la sua vita fosse stata inconsciamente ma inevitabilmente
programmata senza chiedergli neppure il parere, allora lostacolo
da superare era più grande di quanto si aspettasse.
Non era un equivoco quello da chiarire, ma tutto un mondo da cambiare,
lo vedeva nelle persone che lavoravano lì, lo ricordava
nei suoi familiari e sebbene cercasse di convincersi che la loro
esperienza fosse superiore alla sua, una sussurro lieve lieve
nella sua doppia testa riflettente, gli consigliava di andare
oltre, di chiedersi il perché di tanto scontento e di decidere
alla svelta che cosa voleva essere e come voleva riuscire a diventarlo.
Si ripromise di terminare pacificamente la sua prima giornata
lavorativa.
Era anche lultima.
Verso sera, mentre tornava a casa, osservava le sue monete esagonali
che gli fungevano da piedi e ogni sassolino sporgente sul selciato
diventava un facile bersaglio alle sue pedate, i fili derba
scuri ai lati della strada, sinchinavano dolcemente ai voleri
della brezza leggera, mentre le voci lontane del paese diventavano
più nitide e le sagome della case si trasformavano in un
paesaggio ormai conosciuto.
Sarebbe voluto andar via, visitare ogni luogo di quel mondo conosciuto
solo attraverso i racconti di altre persone e chissà perché,
mai scoperto.
Già, anche questo ora saltava agli occhi di Doppio Riflesso
come una cosa sconcertante.
Perché non aveva visto mai niente se non quelle quattro
case dove era cresciuto, possibile che prima di allora non avesse
mai provato la voglia di viaggiare?
Semplicemente non ci aveva pensato, era troppo occupato a giocare
con gli amici, ad aiutare il nonno o la mamma.
Sembrava tutto così perfettamente in ordine il mondo fino
al giorno prima, erano tutte cose future, da fare un giorno, ma
adesso sembrava lontanissimo quel giorno, irraggiungibile.
Anche se non si era mai trovato in una situazione come quella
e lo stato danimo in cui si trovava era assolutamente nuovo
per lui, aveva la certezza di essere nei pressi di uno strapiombo
e non poteva fare altro: o tornava indietro o provava a saltarci
dentro.
Ma perché era così sicuro di dover intraprendere
una dura battaglia familiare?
Chi gli diceva di dover per forza discutere con i suoi?
Forse avrebbero capito, forse tutto era solo dovuto ad una sua
nevrosi e niente aveva fondamento.
Il solito bisbiglio sommesso invece ribatteva di non illudersi
troppo e verificare al più presto le sue paure.
Lunica cosa di cui fosse sicuro, era di non voler tornare
in fabbrica il giorno dopo, per nessun motivo.
Passò prima a casa del nonno, trovandolo nellorto
mentre riponeva gli attrezzi.
« Ciao nonno, sono tornato ».
«Oh allora comè andata oggi? Ti vedo un po
abbacchiato, vedi il primo giorno succede, ci si sente incapaci,
pensi di non riuscire ad imparare tutte quelle cose, ma vedrai
poi con il tempo e i miei consigli..».
Doppio Riflesso non gli dette neanche il tempo di finire la frase.
«Io non ci torno là nonno,non è questo che
fa per me ».
Il vecchio si fermò sulla soglia, poi fece per entrare
nel capanno degli attrezzi e disse trattenendo la rabbia:
«Dormici su e non farne parola con i tuoi, vedrai le cose
diversamente tra un po.».
Richiuse la porta, domandandosi come avrebbero reagito sua figlia
e suo genero a quella notizia, conosceva bene il nipote e sapeva
di non averlo convinto a tacere.
Doppio Riflesso rimase per qualche minuti al buio, tra le aiuole
di fiori dietro la casa, ripensando a tutte le sgridate prese
dalla nonna ad ogni pallone finito tra quelle rose; rivedeva la
strage di petali bianchi ,rossi,rosa a seconda del cespuglio colpito
e alle fughe divertenti intraprese ogni qualvolta la nonna usciva
minacciosa dalla cucina.
Rivide se stesso bussare alla finestra del pian terreno per chiedere
caramelle, acqua o lora e si chiese perché, ma perché
non ci aveva pensato prima?
Si sentiva triste, ma non perché aveva deluso suo nonno
e stava per fare altrettanto con i suoi genitori, ma perché
le persone alle quali voleva bene non lo consideravano abbastanza
grande da prendere decisioni autonome o semplicemente non capivano
limportanza di capire.
Questo pensiero lo fece stare meglio.
Non si sentiva in torto verso niente e nessuno, voleva solamente
capire qualcosa, non sapeva ancora cosa, ma la doveva capire.
Era come se mancasse un pezzetto dentro di sé e più
pensava, più quel pezzetto diventava grande, arrivato alla
porta di casa dei suoi, gli sembrava di avere un buco dentro e
di doverlo riempire al più presto.
La cena era in tavola, i genitori seduti, Doppio Riflesso aprì
bocca ed il mondo crollò.
Non cerano ragioni valide per calmare suo padre o parole
di conforto per sua madre, nonostante si sforzasse di far valere
il suo punto di vista, ad ogni argomentazione gli veniva risposto
con esempi pratici ed inappellabili su come lui non potesse sapere
e conoscere, e quello non era il figlio cresciuto da loro, cosa
ne poteva sapere della vita, dei pericoli..sogni solo sogni niente
di concreto.
Avendo scoperto di avere una personalità ed uninteriorità
solo da poche ore, Doppio Riflesso non riusciva a difenderle molto
bene, aveva una confusione in testa così grande,da non
capire più se stava sbagliando o se era nel giusto, non
aveva idea di cosa volesse,aveva chiaro solo i principi di suo
padre e non li voleva condividere.
Alla fine però, dopo linfelice frase » Chi
ti ha messo in testa queste idee?», sbottò mettendosi
ad urlare.
« Ma come? Preferiresti un figlio deficiente aizzato dalle
parole degli altri piuttosto una persona diversa da te? Tutte
le tue idee, i tuoi ragionamenti, quando hanno selezionato le
vostre caratteristiche migliori e mi hanno fatto pensavi di poterti
specchiare a vita nella mia immagine.
Guardami io rifletto , rifletto in due modi e questa facoltà
è solo mia ».
Si sorprese delle proprie parole e a dire la verità anche
i suoi genitori, che tentarono la via del ragionamento.
Iniziò la madre:
«Ma noi lo facciamo per te, siamo preoccupati per il tuo
futuro, vogliamo essere sicuri di cosa farai nella vita ».
«E se fossi triste per il resto della vita, il fatto di
avervi fatto felice pensi mi consolerebbe?».
Forse non voleva farlo, forse non voleva sentirsi dire quelle
cose, ma allimprovvisò il babbo spalancò la
porta di casa e quasi sottovoce disse:
«Vai allora e scopri il mondo, tornerai chiedendo scusa!».
Quella fu la prima notte di Doppio Riflesso fuori di casa,
lontano dal paese, sopra una collina solitaria dove le costellazioni
sembravano dipinte di fresco, la luna ora piccola,ora grande,
sembrava di burro, ogni volta in ciascuno dei due specchi appariva
unimmagine diversa.
Il perno restava immobile, ma faceva ruotare avanti e indietro
le due facce ,egli si domandava dove sarebbe andato e cosa avrebbe
fatto, ma quella strana tranquillità interiore non era
per niente spiacevole, mentre alternava le sue doppie visioni.
Si chiese se era quello che cercava, quellinappagabile sensazione
di essere in pace con se stessi, di aver fatto la cosa giusta.
E in qualunque modo voltasse lo specchio, quello stato danimo
era lunica cosa a rimanere uguale.
Ci riflettè a lungo, quindi decise di recarsi in una città
distante, dove forse viveva ancora un loro lontano parente , uno
di quegli strani cugini alla lontana che si ritrovano in ogni
famiglia, volutamente dimenticato da tutti visti i suoi poco lusinghieri
precedenti.
Doveva essere un mezzo artista o qualcosa del genere, Doppio Riflesso
lo aveva visto a casa un paio di volte, quando ancora i rapporti
con costui non erano degenerati del tutto, magari lo avrebbe ospitato,
magari no, ma in ogni modo era pur sempre un primo punto di partenza.
Di lui sapeva soltanto il nome e ne ricordava sbiaditamente laspetto,
cioè un pendolo dorologio agganciato ad un complicato
meccanismo dingranaggi dentati.
«Di certo - pensò- con un simile aspetto non doveva
aver avuto vita facile.».
Ricordò le maldicenze della mamma e della nonna nei suoi
confronti e sperò di trovarlo , o molto cambiato, o per
lo meno, molto gentile.
La strada per la città era molto lunga, ma caparbietà
e tenacia erano stranamente ed improvvisamente sbucate fuori da
chissà dove nellanimo del nostro specchio, tanto
da fargli intraprendere il viaggio con spirito allegro e speranzoso,
affidandosi alla buona sorte, ad un paio di gambe giovani e alla
gentilezza di alcuni passanti motorizzati che si offrirono di
dargli un passaggio negli ultimi tratti di strada, fino alle prime
case della periferia della città.
Questa apparve subito ai suoi occhi immensa e terrificante.
Non lo spaventava solamente limmensità degli spazi
edificati e la quantità immane di persone, ma anche quel
tremendo rumore al quale non era abituato.
I prati ed il tranquillo paesaggio natio erano talmente lontani
e inimmaginabili adesso, da farlo quasi tornare sui suoi passi,
tanto da dover rivivere spesso lultima scenata con suo padre
per trovare il coraggio di continuare a vagare in quel labirinto
sconosciuto, senza nessun filo dArianna.
Non sapendo bene da dove cominciare, decise innanzitutto di scartare
i quartieri più ricchi, sicuramente il bis-bis-bis cugino
non era gradito ai membri della famiglia, ma sicuramente se in
quegli anni avesse fatto fortuna, la notizia sarebbe di certo
giunta a casa, se non altro per dare adito ai parenti, o di riavvicinarsi
, nel migliore dei casi o per congetturare le peggiori ipotesi
sulla causa di quel miglioramento.
Un parente redento fa molta meno notizia di uno arricchito »..
non si sa bene come e grazie a cosa..» finì la frase
la nonna nella testa di Doppio Riflesso.
Chiedendo informazioni ai passanti, stabilì di andare verso
le zone più popolari ed anche più numerose, giungendo
in un quartiere sporco e rumoroso, chiamato » rione degli
artisti », dove le case erano così malridotte e ammassate
che gli fecero tornare in mente gli instabili castelli di sabbia
argillosa costruiti sulle sponde di un laghetto, quando era bambino.
Il colore era simile e la stabilità ugualmente precaria,
in più erano affollatissimi e da ogni dove vociavano donne,uomini,
allapparenza indaffarati in mille occupazioni diverse, tutte
svolte in strada o in bugigattoli ambiziosamente definiti negozi,
con tanto dinsegne sghembe e pericolanti.
Egli vagò molto, chiese, osservò i passanti, ma
ormai il buio calava sui vicoli, accendendo i pochi lampioni funzionanti,
dalle finestre dei palazzi le mamme urlavano ai figli di rientrare,
le osterie davano la buonasera ai primi clienti e a Doppio Riflesso
saliva un groppo in gola duro come un sasso, mentre la certezza
di stare sbagliando tutto sinsinuava nella testa .
Stava pensando al modo di passare la serata, quando un cartello
affisso ad una vetrina di un locale attirò la sua attenzione:
«Cercasi personale esperto ».
Aprì la porta dellosteria, facendo tintinnare dei
campanellini polverosi affissi sopra lo stipite.
Il locale non era molto spazioso, aveva un lungo bancone ammaccato
in più punti e, disseminati disordinatamente, dei tavolini
apparecchiati alla buona, con tovaglie rammendate e i bicchieri
diversi tra loro.
Le sedie impagliate lasciavano penzolare gli intrecci consunti,
come se un gattino dispettoso si fosse arrotato le unghie sotto
ciascuna di esse.
Dalla porta della cucina uscì un fiasco di vino con letichetta
sbiadita, che lo squadrò meravigliato e con voce petulante
chiese:
«Buonasera signore desidera un tavolo? Suppongo sia solo
».
«No io veramente volevo sapere del cartello sulla porta,
se cercate del personale avrei bisogno di un lavoro ».
«Non sembri di queste parti, come mai sei qui? ».
«Sono in città per trovare un parente, ma non ho
avuta molta fortuna, per questo ho bisogno di un posto dove dormire
».
«Bhè se non altro non te ne andrai dopo tre giorni,
se veramente hai bisogno di un lavoro.Cosa sai fare?Cucinare?Servire
ai tavoli?O puoi intrattenere i clienti ballando e cantando? ».
Loste aveva assunto un tono arrogante, ma non era il momento
di sottilizzare quello: o lì o fuori per la strada chissà
dove e con quali conseguenze.
« Io potrei..imparerei..credo di saper fare.. ».
«Ho capito - sentenziò la fiaschetta - un altro disperato
senza arte ne parte.Tagliamo corto, un posto come tutto
fare, tre soldi la settimana, dalle sei a chiusura tutti i giorni
e un posto letto in magazzino.Si o no?. ».
Si strinsero la mano e Doppio Riflesso iniziò la seconda
giornata lavorativa della sua vita, questa volta come sguattero.
Il lavoro non era complicato, anche se molto pesante, loste
era burbero, ma si accontentava del nuovo aiutante, che poteva
ritenersi fortunato, aveva molto tempo per cercare il cugino e
nellosteria passavano molte persone alle quali chiedere
informazioni.
La vita nel sobborgo, in particolare nel vicoletto, cominciava
a piacergli, cerano un sacco di personaggi strani e simpatici,
con i quali sempre più spesso si fermava a chiacchierare;
i timori della prima sera non si erano più fatti sentire,
anche se la nostalgia di casa di tanto in tanto lo faceva sospirare.
Avrebbe voluto rifare tutto quello che aveva fatto, ma con il
consenso dei suoi, il fatto di essersene andato litigando non
era una bella cosa da ricordare, però adesso sentiva di
poter fare qualcosa di giusto, avvertiva una sensazione di buon
auspicio.
Era sicuro che il tempo gli avrebbe reso merito e un domani sicuramente
sarebbe tornato per riappacificarsi con loro, ma avrebbe avuto
anche il modo di dimostrargli
che si erano sbagliati sul suo conto e questo pensiero lo rincuorava
nei momenti di sconforto.
Notizie del cugino non ne trovava, magari non si trovava neanche
più in città, ma Doppio Riflesso continuava ugualmente
a fare domande.
Una sera quasi allora di chiusura, mentre riponeva i bicchieri
lavati nella credenza, sentì lo scampanellio della porta
dingresso e una voce roca chiedere:
«Non cè nessuno al banco? ».
Loste arrivò dubbioso dal retro, a quellora
i clienti non erano molto raccomandabili,ma cambiò espressione
non appena riconobbe lavventore,non salì neppure
dietro al bancone,avviandosi a salutarlo confidenzialmente.
I due si scambiarono saluti e scambievoli informazioni sulla rispettiva
salute, pessima a sentire entrambi, per non parlare della loro
cattiva sorte.
Dopo essersi descritti le rispettive e faticose vite, stapparono
una bottiglia di vino speciale, di quelle tenute sui ripiani più
alti e che, confrontata con il vino della casa servito ai clienti
abituali, doveva sembrare nettare dambrosia tanto la lodarono.
Doppio Riflesso lavrebbe anche assaggiata volentieri, ma
si guardarono bene dalloffrirgliene anche un solo bicchiere,
anzi loste gli ordinò sbrigativamente di chiudere
la porta, spegnere linsegna e andare a letto o in ogni caso
fuori da lì.
Egli non se lo fece ripetere due volte, pensando di passeggiare
un po per il quartiere prima di andare a dormire, per cui
diede, non corrisposto, la buonanotte e uscì respirando
laria fresca della sera,profumata quasi, niente a che vedere
con il puzzo di chiuso e di fritto della taverna.
Saltò come al solito, tutti e quattro i gradini, atterrando
sul marciapiede, si stirò le braccia per sgranchirsi e
rimase immobile, come se un poliziotto gli avesse intimato di
alzare le mani, ma non era un agente di polizia quello che aveva
davanti,bensì un vecchio furgoncino scassato, con una grossa
scritta rossa sul cassone e sotto un disegno scolorito:non cerano
dubbi, quello dipinto sulla fiancata era proprio il suo bis- bis
- bis - cugino!
Risalì velocemente gli scalini, spalancando la porta, zittendo
i due che lo guardarono con aria interrogativa.
«Mi scusi signore ma è suo quel camioncino là
fuori? ».
Laltro annuì.
«Si perché? ».
«Credo di conoscere il tipo dipinto sulla fiancata, mi saprebbe
dire qualcosa su di lui? Se sa dove abita o dove lavora? ».
Lamico delloste raccontò di come avesse incontrato
il cugino ad una fiera, mentre stava cercando un furgone da acquistare,
laltro invece voleva vendere il proprio e così avevano
concluso laffare.
Doppio Riflesso rimase deluso da quella risposta e chiese se per
caso non avesse avuto qualche altra informazione, per esempio
dove si stava recando o che intenzioni avesse, spiegò la
parentela e di come fosse venuto in città per cercarlo
, purtroppo non venne a scoprire nulla se non il nome della città
dove era avvenuta la vendita del furgone.
Sconfortato,ringraziò e uscì mestamente,scendendo
i gradini uno ad uno e sedendosi sullultimo.
Non avrebbe avuto molto senso andare a cercare il cugino adesso,
forse fino ad ora si era sentito particolarmente tranquillo e
al sicuro, anche grazie al fatto di dover cercare quella persona,
chissà poi cosa pensava di risolvere in quel modo.
No, la verità era che doveva veramente cominciare a darsi
da fare per conto proprio, senza sperare nellappoggio di
nessuno.
Dalla mattina seguente avrebbe cominciato cercando un nuovo posto
di lavoro, magari con una mansione che per una volta richiedesse
anche luso del cervello oltre a quello delle braccia;invece
di perder tempo nellinutile ricerca di quella fantomatica
persona.
Avrebbe continuato a lavorare allosteria la sera, ed il
giorno si sarebbe recato nei quartieri più benestanti della
città e si sarebbe dato da fare, considerata la sua posizione,
era fermamente convinto di poter solo migliorare.
I giorni seguenti furono poco produttivi nella città bella,
quella delle vetrine eleganti e delle strade pulite,sembrava proprio
che non avessero bisogno di lui, senza credenziali,senza esperienza,
si vedeva lontano un miglio che era un povero campagnolo ingenuo.
Lo squadravano e lo classificavano, e Doppio Riflesso, risolutamente,
continuava a vagare senza sosta, bussando a tutte le porte e proponendosi
per innumerevoli lavori, ma ogni sera tornava allosteria
più sconcertato e demotivato che mai.
Poco prima nelle festività natalizie, loste decise
di chiudere la bottega per un fine settimana, aveva delle commissioni
da fare e alcuni parenti da salutare, quindi lasciò le
chiavi a Doppio Riflesso con la raccomandazione di stare attento
e di non portare nessuno nella taverna durante la sua assenza.
Aveva davanti tre giorni liberi a disposizione nei quali poteva
vedere la citta di sera, quando i locali, quelli veri, quelli
belli, quelli eleganti, promettevano strabilianti divertimenti
fino alle prime luci dellalba.
Per una volta non si fece problemi sui risparmi da mettere da
parte;dopo aver lavorato per mesi senza spendere una lira ed era
tempo di adeguarsi al nuovo stile di vita, se voleva scrollarsi
di dosso quellimmagine provinciale che si sentiva.
Prese lautobus il venerdì mattina,scelse un alberghetto
economico vicino al centro, uno da turisti e fissò la camera
fino alla domenica mattina.
Poi fece un giro nella piazza centrale comprando un giornale,
dove erano riportati tutti gli spettacoli dei teatri,le visioni
dei cinema, i musei da visitare e altri avvenimenti importanti.
Cerano veramente decine di scelte possibili da fare,molti
luoghi da visitare e ne scelse alcuni che attiravano maggiormente
la sua attenzione.
Era piacevole quella sensazione di libertà, finalmente
tre intere giornate libere da ogni impegno,dedite solo ai propri
desideri,era talmente diversa la vita rispetto al paese;i primi
giorni gli rimaneva nuovo persino dover attendere, per poter attraversare
la strada, il verde del semaforo; dove era cresciuto non ce nera
neanche uno a spartire lordine tra pedoni e automobili.
Il cento della città era veramente molto bello, con tutti
i locali caratteristici, i monumenti, le chiese antiche, Doppio
Riflesso avrebbe voluto conoscere la storia di ogni singola pietra,
gli angoli delle strade ,i portoni dei palazzi suntuosi, le grondaie
a forma di grifone, ciascun particolare meritava attenzione.
Egli si chiedeva se ci si poteva abituare a tutta quella meraviglia,
se la quotidianità e la familiarità con lambiente
facessero in modo che i passanti non si soffermassero più
ad ammirare una qualsiasi cosa.
Oppure lo facessero senza stupore o se si potesse passare frettolosamente
davanti ad una di quelle chiese senza fermarsi ad ammirarla.
Osservando landirivieni delle persone, che non fossero turisti,
capì che doveva essere proprio così, tutta quella
gente ormai, passava per quelle strade indifferentemente,senza
neppure alzare gli occhi un attimo, pareva dare per scontato il
fatto di trovarsi lì , circondati da tutte quelle beltà.
Si ripromise di non farlo mai, anche se avesse vissuto in quel
posto per tutta la vita.
Passeggiava osservando il formicolare confuso attorno, davanti,dietro,
ovunque cerano persone da guardare e con le quali avrebbe
chiacchierato volentieri, ma di cosa?
Si sentì improvvisamente solo ed estraneo, un passante
gli chiese a dire dove si trovava una strada e lui fu costretto
a rispondere di non sapere dove fosse, di non essere del posto,
in fin dei conti era vero.
Per un attimo pensò di tornare alla locanda,poi si rianimò
facendosi coraggio ,chissà quanta di quella gente non era
nata lì, ma vi si era trasferita e allinizio sicuramente
si era trovata nelle sue stesse condizioni, non si era prefisso
di conoscere tutto di quella città?
E allora cosa stava aspettando?
Si fermò davanti ad un teatro, non cera molta fila
da fare, perché lo spettacolo stava per iniziare ed entrò
nel salone barocco illuminato da un grande lampadario di cristallo,salì
in galleria prendendo posto nei comodi sedili di velluto blu,
caldi ed accoglienti,aspettando con curiosità linizio
della rappresentazione.
Dalla sua postazione vedeva il palcoscenico nascosto dal pesante
sipario rosso, le luci si affievolirono leggermente due volte
,spegnendosi e dal silenzio sceso in sala capì che lo spettacolo
stava cominciando.
Buio completo, un fascio di luce cilindrica illuminò il
proscenio,spaziò da sinistra a destra lasciando intravedere
larredamento di scena, un vociare allegro di attori salì
da dietro un boccascena e il palcoscenico fu illuminato a giorno.
Il primo atto era ambientato in campagna durante una festa, quello
che doveva essere il protagonista cantava e ballava ora da solo,
ora in coro con gli altri, un paio di volte si levarono degli
applausi a scena aperta e dopo lapoteosi cantata coralmente
da tutti, si chiuse il sipario accompagnato da uno scrosciante
applauso e da un incalzarsi di voci prima isolate, poi in sincrono
che chiedevano il bis.
Questo fu concesso volentieri dallattore principale, che
finì di cantare insieme agli altri, ma alla fine si avvicinò
da solo fino alla bocca del suggeritore e raccolse tutto il merito
con un elegante e compiaciuto inchino.
Dopo una brevissima pausa durante la quale le luci in sala si
erano riaccese, ecco calare di nuovo loscurità, riaprirsi
il sipario mentre un occhio di bue illuminava un grazioso Cestino
di vimini tutto ornato di fiori e frutti talmente belli da non
poter distinguere se fossero veri o no, due ruote di legno permettevano
al cestino di muoversi e due occhi azzurri di bambola si aprirono
sopra il manico intrecciato da fili di raso multicolori.
Quando la protagonista iniziò a cantare schiudendo il bocciolo
di rosa che aveva come bocca, Doppio Riflesso pensò di
non aver mai visto creatura più dolce ,nessuna delle sue
compagne, neanche la più carina ,poteva essere paragonata
a lei, chissà come si chiamava.
Nel buio della galleria era difficile leggere il programma di
sala, ma cambiando la posizione del suo specchio rotante da piccolo
a grande, riuscì a leggere » Floralia » proprio
sotto la dicitura « Personaggi e interpreti ».
Il canto di Floralia roteava nel salone, limpido e perfetto, gorgheggiava
ammiccante e trasportava la melodia leggera.
Incalzanti,nitide e scandite le parole della canzone entravano
nel cuore degli spettatori assorti e concentrati.
Doppio Riflesso manteneva la posizione dei sui specchi su quello
ingrandito, in modo da potersi concentrare solo su di lei, quando
un tonfo sommesso interruppe quella beatitudine, un rumore di
vetri che cadono si udì sopra le teste della platea e il
buio ammutolì tutti per un istante, un brusio sorpreso,
qualche attimo di smarrimento, poi un personaggio affannato apparve
sotto un riflettore.
«Ci ..ci scusiamo vivamente con il gentile pubblico, ma
si è rotto locchio di bue, se volete scusarci qualche
momento, vi garantiamo il seguito della rappresentazione.»
Le altezzose signore della prima fila parvero scocciate da quella
forzata interruzione, qualcuna si alzò nervosamente per
andare a passeggiare con le amiche nel salone dingresso
del teatro, alcuni fumavano o bevevano qualcosa al bar, altri
leggevano le locandine delle rappresentazioni prossime e commentavano
la bravura di quellattore o lincapacità dellaltro.
Il caso non esiste nella vita, ma questo Doppio Riflesso ancora
non lo sapeva, quindi lidea pazzesca e geniale che gli sfarfallò
nella mente, non venne messa in relazione con la sua esistenza
se non molto tempo dopo, fatto sta che con un gesto di coraggio
preso da chissà dove, cercò di entrare nel retropalco,
dove quasi nessuno fece caso alla sua presenza, visto il caos
che al momento vi regnava,tecnici,attrezzisti, macchinisti correvano
qua e là eseguendo ordini confusi e contraddittori del
regista, dellaiuto e dellimpresario, il direttore
di scena litigava con laddetto alle luci, questi scaricava
la colpa sugli addetti alla manutenzione;questi ultimi, assenti,
non potevano giustificarsi.
Dal camerino della prima attrice si sentiva inveire contro il
mondo, mai Doppio Riflesso avrebbe immaginato quanta dose di scurrilità
può celarsi dietro altrettanta dolcezza scenica, e si ripromise
di cercare di andare sempre oltre le apparenze, ma non era una
cosa rilevante al momento.
Adesso doveva cercare dindividuare la persona giusta,eccolo
là il signore che aveva annunciato linterruzione
dal palcoscenico, di sicuro era qualcuno dellorganizzazione.
Era un tozzo barattolo di vetro, con le gambe di latta e la testa
appuntita, conica, sulla sommità della quale due bottoni
roteavano cercavano si scorgere qualcuno con cui arrabbiarsi.
Quando Doppio Riflesso si avvicinò, tentò di scacciarlo
in malo modo, ma alle parole «Io potrei aiutarla »,
cambiò completamente espressione e i due bottoni, si riempirono
di speranza.
«Cosè lei?un tecnico?un elettricista?un mago?cosa
può fare per me? »
«Posso usare la testa».
Il barattolo stava per esplodere con un gesto sconclusionato,quando
lo osservò attentamente e iniziò ad urlare nomi
e ordini, il tutto così velocemente che Doppio Riflesso
non si accorse neanche di quello che stava accadendo, sta di fatto
che di l a pochi attimi, si trovava nella cabina luci con
i resti dellocchio di bue sparsi per terra e buttati in
un angolo, un faretto puntato dietro la testa e un tecnico piccolo
piccolo che gli dava indicazioni su come muoversi e dove dirigere
il fascio di luce.
Non dovette sostituire locchio di bue in molte scene, ma
in quelle dove era richiesto la sua presenza fu fondamentale,
per focalizzare lattenzione su quello o quellaltro
personaggio o nei finali di scene particolarmente significative.
Alla fine si godette gli applausi del pubblico come se fossero
stati direttamente rivolti a lui, mai nella sua vita si era sentito
così orgoglioso e soddisfatto, non tanto per quello che
aveva fatto, ma per lidea che aveva avuto e per loccasione
sfruttata.
Pensò di aver avuto una fortuna sfacciata,specialmente
quando gli chiesero se voleva entrare in pianta stabile nell»
Antica compagnia di teatro itinerante «, una delle più
prestigiose della città e lui,naturalmente, rispose di
sì.
Tornò alla vecchia osteria con il cuore leggero ,anche
un po in ansia per il fatto che doveva dire alloste
che se ne sarebbe andato,tuttavia non riusciva a capire quel piccolo
stato di agitazione che gli procurava dover fare questa cosa.
Lavorava tanto,veniva pagato poco, dormiva in cantina e nonostante
tutto ciò si sentiva quasi in colpa e nella condizione
di doversi giustificare per aver migliorato la sua vita.
Comè buffo lanimo umano, si abitua subito alle
brutte condizioni, si sente in torto quando cambia in meglio e
tende a dover giustificare la felicità.
Alla fine tutto andò come era prevedibile, loste
si attenne alla parte assegnatagli,rappresentata così bene
dalla favola della volpe e luva e il nostro protagonista
invece,raccolte le sue poche cose in una sacca, uscì di
scena trionfalmente complimentandosi con se stesso.
La compagnia ripartiva lindomani mattina ,appena smontate
le scene e caricate queste insieme alle attrezzerie sui camion
per le merci.
Gli attori principali, il regista e il produttore viaggiavano
tutti insieme in automobile e alloggiavano in un albergo distinto
durante le tournèe, il resto della compagnia ,tecnici compresi
aveva i suoi furgoncini ormai datati,e scarrozzavano ormai non
si sa da quanti anni ed erano talmente pieni di rumori e cigoliì
che durante i viaggi bisognava urlare per riuscire a scambiare
due parole.
Ma a Doppio Riflesso sembrava di aver comprato un biglietto in
prima classe per una vacanza,non gli sembrava vero.
Avrebbe visto tante di quelle città e imparato un mestiere
così particolare,sempre a contatto con larte, con
la musica, gli applausi,non poteva chiedere di meglio.
E quante cose sapevano i suoi compagni,quanti aneddoti,gli erano
capitate le avventure più incredibili sempre in giro per
il mondo.
La sconquassata carovana di solito arrivava nel paese un paio
di giorni prima della rappresentazione, gli operai iniziavano
a scaricare i camion e ad allestire le scene,limpresario
si dava da fare per riempire tutti i fogli della parte burocratica,
fare pubblicità,incontrare le autorità e soprattutto
spendere il meno possibile.
Per quanto riguarda Floralia e il suo co-protagonista erano specializzati
nel far ammattire il regista con le loro continue discussioni
artistiche che vertevano su quanto luno fosse più
bravo e quindi meritevole di essere messo più in luce rispetto
allaltro.
Il povero regista, un vecchio incrocio tra una grattugia per il
formaggio e un sottopentola, sembrava arrugginirsi ogni giorno
di più nel vano tentativo di riappacificare quei due e
nello spiegar loro che i ruoli delle commedie erano scritti dallautore
e la lunghezza delle parti maschili e femminile non la decideva
certo lui.
La più agguerrita era Floralia che se avesse potuto ,avrebbe
cantato con voce da tenore pur di avere la scena completa e non
doverla dividere con nessuno.
Il lavoro di Doppio Riflesso non era molto riposante, faceva un
po di tutto, ma tra scaricare, montare, mettere in atto
la rappresentazione e ripartire non aveva mai neanche il tempo
di visitare i posti dove si trovava.
E vero che cambiavano città in continuazione, ma
lunica cosa che vedeva tutto il giorno era il teatro e lalbergo
a notte fonda quando crollava sul letto talmente stanco che non
si ricordava neppure come cera arrivato.
Lentusiasmo per il nuovo lavoro cominciava a scemare,la
compagnia era allegra
ma se si guardava un po più in profondità
si poteva scorgere tanta nostalgia per case e famiglie rimaste
al paese dove la maggior parte di loro tornava ben poco e per
coloro che invece non avevano nessun posto dove tornare, cera
invece un represso desiderio di potersi fermare un giorno e sentirsi
a casa .
Doppio Riflesso non riusciva a capire ,era stato così entusiasta
di iniziare quella nuova attività, caveva messo il
cuore, ma adesso solo pochi mesi dopo, era triste e sconsolato,
non gli dispiaceva quel lavoro, ma praticamente non aveva tempo
per fare nessunaltra cosa e lui di cose in mente da fare
ne aveva milioni.
Cioè migliaia, cioè centinaia,cioè decine,
cioè va beh..non sapeva assolutamente cosa avrebbe potuto
o voluto fare ma sicuramente vedere un po meglio i posti
dove si trovava per esempio sarebbe stato un bellinizio.
Girava per il mondo e non lo scopriva.
Era assurdo.
Spesso chiedeva agli altri se provavano la stessa sensazione,
se si sentivano quel senso di sopraffazione, ma evidentemente
nessuno era curioso come lui perché non sentivano la necessità
di avere più tempo libero per visitare monumenti o musei.
Certamente per fare altre cose sì, ma sembrava che si facessero
quella domanda per la prima volta nel momento in cui glielo chiedeva
Doppio Riflesso.
E ancora una volta si stupiva della forza dellabitudine
sulla mente, che si assuefà a ciò che la circonda
senza opporre resistenza, senza ricordarsi che è lei che
crea la realtà e non la realtà che suggerisce alla
mente come deve essere.
Alla fine si rendeva conto che lì o al capannone non cera
molta differenza nel modo di ragionare delle persone, non sapeva
se provare a convincerli del contrario o almeno dellalternativa
o arrabbiarsi con loro.
Gli sarebbe venuto da discutere,ma a quel punto sarebbe stato
come il nonno o il babbo che non accettavano chi non la pensava
come loro.
Uff
la coerenza nella vita che immensa complicazione.
Una notte di fine Maggio finirono di smontare le attrezzature
a notte fonda e quando i camion furono carichi già albeggiava,
ma non potevano fermarsi e riposare perché la data della
rappresentazione successiva era lindomani stesso e quindi
dovevano rimettersi in viaggio appena caricata lultima pesante
cassa.
Appena salì sul furgone scassato Doppio Riflesso si addormentò
pesantemente,era talmente stanco che ne i rumori ne
gli scossoni dei vecchi ammortizzatori artritici riuscivano a
svegliarlo.
Sognava di essere in una strada di campagna di notte al chiarore
della luna,il frinire dei grilli e ai suoi lati cespugli di more
rosse indicavano che lestate aveva dato il meglio di sé
ma preparava linvito allautunno donandogli gli ultimi
frutti selvatici come regalo di benvenuto.
Camminava lungo una strada sterrata guardandosi indietro e domandandosi
come mai non avesse paura.
Perché non cera niente di cui avere paura era la
risposta dolce e calmante della voce dei sogni, quella che udiamo
come nostra ma sappiamo non esserlo, quella che spiega tutto con
una solo sensazione, quella che ci fa dire «sapevo che era
così anche se non lo stavo vedendo .
Alla sua destra un prato ondeggiava lentamente,ma ad avvicinarsi
ci si poteva accorgere che non era terra quella su cui cresceva,
ma acqua di una palude in apparenza immobile,ma che sinuosamente
faceva ondeggiare qualsiasi creatura le crescesse sopra.
Doppio Riflesso mise i piedi in quell acqua ferma che ferma
non era e avvertì una piacevole sensazione di freschezza,
come se un carezza stesse risalendo tutto il suo corpo su per
le gambe fino alla schiena e lo lasciasse piacevolmente risollevato.
Limpressione dellacqua era talmente gradevole che
invece di tornare sulla stradina egli continuò a camminarci
e più andava avanti, più la sensazione che lacqua
si muovesse aumentava.
Da principio erano piccole onde che sincrespavano attorno
alle caviglie, poi moti più forti che schizzavano fino
alle ginocchia.
La palude si stava trasformando in torrente e limpetuosità
aumentava ad ogni passo avanti che faceva.
Il torrente divenne fiume e la massa dacqua singigantì
a tal punto che Doppio Riflesso alzò gli occhi per vedere
da dove venisse tutta quella forza.
La sorgente del fiume era un alto cancello in ferro lavorato che
si ergeva solitario in mezzo alla campagna non molto lontano,
tra le sue sbarre si scatenava la forza delle onde che scendevano
sempre più impietose trascinando con sé erba e tronchi,
tronchi dalbero enormi che arrivavano rotolandosi e immergendosi,
e rispuntando poco dopo come dita gigantesche.
O erano serpenti?Doppio Riflesso si chiese se lo fossero, ma la
sua voce onirica rispose che no ,non lo erano ,che erano solo
tronchi.
E allora invece di opporsi alla loro forza Doppio Riflesso vi
si abbandonò, salendo su uno di questi e lasciando che
tutta la loro potenza scorresse sotto di lui.
Non appena vi si issò ,saldamente , la spinta del fiume
cambiò. Sinvertì e risalì da dove era
venuta.
Con lo stesso impeto , ma in direzione inversa portava i tronchi
e Doppio Riflesso verso il cancello dal quale prima venivano.
E adesso il cancello era aperto, spalancato e portava ad una meravigliosa
città fatta di palazzi alti e stretti, che terminavano
con guglie e abbaini.
Egli scese dal tronco appena varcato il cancello,lacqua
sparì ritornò torrente e poi palude e si ritirò
al di là del cancello dove era stata prima.
Doppio Riflesso si guardava intorno estasiato, mai posto gli aveva
comunicato più pace e serenità,si voltò indietro
per vedere se il cancello si fosse richiuso.
«Svegliati specchio delle mie brame.. Siamo arrivati»
E per un attimo fu sicuro che anche questa frase facesse parte
del sogno.
Scaricarono nuovamente tutta lattrezzatura, casse di
legno, scenografie smontate, materiali vari e iniziarono velocemente
ad allestire per lo spettacolo della sera, avevano i minuti contati
ed erano tutti talmente indaffarati che nessuno si accorse del
ragazzo entrato nel teatro che li stava osservando con attenzione.
A guardarlo da lontano non si capiva bene come fosse fatto, ma
quando si avvicinò al palcoscenico e chiese a chi potesse
chiedere delle informazioni, la sua forma strana catturò
subito lattenzione di Doppio Riflesso.
Aveva qualcosa dinteressante, o di familiare, non riusciva
a capirlo.
Il nuovo arrivato non poteva certo dirsi bello, ma di sicuro non
passava inosservato, aveva il corpo a forma di trottola, tutto
colorato a spicchi e le gambe ricordavano le zampe di un letto,
tozze e cilindriche , mentre le braccia erano due piccoli organetti
da fisarmonica con le piccole dita di legno come i bastoncini
del gelato.
Ma la cosa buffa era la testa , un pezzo di vetro smerigliato,
di quelli opachi attraverso i quali non si vede bene, ma si intuiscono
solamente le sagome intraviste.
« Scusate mi hanno detto che cercavate un suggeritore per
qualche serata, a chi posso rivolgermi di preciso?».
« Se cerchi limpresario lo trovi al piano di sopra
, dovrebbe essere nei camerini, prova lì » - lo indirizzò
un macchinista.
«La ringrazio vado « rispose il ragazzo , si girò
e incamminandosi si appoggiò ad un bastone bianco , poi
lo prese con tutte e due le mani e lo protese in avanti cominciando
a muoverlo a destra e sinistra mentre si allontanava.
Armonio, questo era il suo nome ,era per lappunto cieco
e usava il suo bastone per avvertire la presenza di ostacoli lungo
il tragitto da fare.
Doppio Riflesso e il resto della compagnia rimasero a bocca aperta.
Come faceva a cercare un posto come suggeritore un cieco?
Forse era stato delegato da qualcun altro.
Non era possibile che fosse per lui.
Continuava ancora a pensarci quando , trascorsa unoretta,
limpresario scese al pian terreno in compagnia nel nuovo
venuto e lo presentò così :
« Lui è Armonio, che mi venga un colpo se non è
la persona che conosce più opere a memoria di chiunque,
non ho mai visto nulla del genere, ho provato con le domande più
difficili e mi ha sbalordito.Da stasera è il nostro nuovo
suggeritore, dategli il benvenuto.»
E Doppio Riflesso incontrò per la prima volta unaltra
persona che aveva la facoltà di vedere le cose in modo
diverso.
Senza vederle.
Il debutto di Armonio fu grandioso, non solo sapeva tutte le parti
a memoria, ma aveva un orecchio musicale assoluto talmente sopraffino
che riusciva a sentire il tempo anche di tutti gli strumenti e
avrebbe tranquillamente preso il posto perfino del
direttore dorchestra se ne avessero avuto bisogno.
Sembrava che la musica per lui fosse aria e la gestisse con la
stessa naturalezza con cui gli altri respiravano.
Doppio Riflesso era esterrefatto, non riusciva a capire come riuscisse
a fare tutte quelle cose senza laiuto della vista, con un
entusiasmo e una passione da far invidia, come se il vedere fosse
veramente superfluo, per lui che il senso visivo ce laveva
doppio , era sbalorditivo.
Finita la rappresentazione non dovevano smontare subito, perché
si trattenevano in quella città una settimana intera, e
come al solito quando avevano un po più di tempo
a disposizione, si recarono tutti in trattoria e uscirono a notte
fonda.
Doppio Riflesso chiese ad Armonio se poteva riaccompagnarlo a
casa, visto che era del posto e sincamminarono lungo un
viale deserto.
Le loro ombre formavano due sagome lunghe lunghe alla luce dei
lampioni e ricordavano il numero dieci, una snella e alta, laltra
tonda e molto più piccolina.
« Come hai fatto ad imparare così bene la musica
senza
senza vedere, cioè prima vedevi o cosa?..
« - iniziò Doppio Riflesso pesando bene le parole
per paura di offendere il nuovo amico.
« No sono nato così, a dire la verità mi hanno
adottato così,probabilmente difettato dalla nascita, ma
non posso dirti di più, i miei genitori mi hanno trovato,
ero stato abbandonato vicino ad una piazza»
«O scusa mi spiace.. «
«E di che? È una bella cosa, ho i genitori più
fantastici del mondo e i tuoi? «
«Anche i miei, cioè una volta lo erano, adesso non
so, ho litigato andandomene di casa ed è molto che non
li vedo»
« Ah pensa a me che non li ho mai visti « -scherzò
Armonio cominciando a ridere.
Doppio Riflesso era imbarazzato, si sentiva quasi in colpa per
la cecità dellaltro e questi ci scherzava su e faceva
anche delle battute.
« Non stare lì a pesare tutte le parole, se non da
noia a me essere cieco dovrebbe infastidire te? .Guarda che è
una situazione normale, anzi io conosco solo questa, non so come
fai te , non lho mai provato. Comè il tuo viso?
«-
« Bhè.. Diciamo che
posso vedere doppio, cioè
in due modi , ho la capacità di vedere le cose da due punti
di vista»
«E quindi non riuscirai mai ad essere obbiettivo»
Doppio Riflesso pensò ad una risposta ponderata da dare,
ma era rimasto un attimo sconcertato, effettivamente era la prima
volta che vedeva la cosa in quel modo, figurarsi che si era sempre
ritenuto fortunato perché vedeva il doppio degli altri.
Messa così la situazione però cambiava totalmente.
Essere obbiettivo.Vedere le cose realmente per come erano.
Ma era possibile?
Durante la settimana che passarono insieme molte delle convinzioni
di Doppio Riflesso sulla vita furono scardinate e questo lo infastidiva
molto.
Nonostante fosse insoddisfatto della sua situazione, era comunque
molto orgoglioso di aver imparato a cavarsela da solo e in qualche
modo si sentiva responsabile della propria esistenza.
Adesso con larrivo di Armonio capiva che ancora non caveva
capito niente del mondo, si sentiva frustrato perché non
sapeva cosa voleva e le passioni dellaltro lo facevano stare
quasi male per linvidia che gli suscitavano.
Ne avrebbe voluti anche lui dinteressi così forti,
ancora non sapeva in quale ambito ma li voleva.
Armonio dal canto suo , era il ragazzo più pacifico del
mondo, anche perché come diceva lui ridendo :
«Se non vuoi vedere ciò che ti da fastidio.. Non
lo guardare»
E in quella breve frase scherzosa cera molta più
saggezza e profondità di quanta quei due ragazzi ne potessero
vedere al momento.
I giorni passarono velocemente e arrivò il momento di salutarsi,
ad Armonio fu chiesto di proseguire il viaggio con la compagnia
di artisti, ma per la prima volta egli si mostrò turbato
e non sembrava propenso a farlo.
Limpresario insisteva giornalmente,ma sembrava che non ci
fosse modo di convincerlo.
« Ma perché non vieni con noi? Almeno prova no ?
Se non ti trovi bene puoi sempre salire sul primo treno e tornare
indietro, a me piacerebbe continuare il viaggio insieme a te «-
provava a convincerlo Doppio Riflesso.
« No, io sto bene qui a casa mia, mi è piaciuta lesperienza
ma non ho bisogno di continuarla, scrivimi qualche volta, fammi
sapere come vanno le cose nel mondo » .
Si salutarono affettuosamente con un abbraccio e Armonio si avviò
verso casa.
Doppio Riflesso lo guardò imbronciato, pensò che
era un altro smacco vedere lamico felice perché stava
bene lì dalla sua famiglia e non aveva necessità
di staccarsi, ma quella vocina petulante nella sua testa, zitta
ormai dalla notte della sua prima partenza si rifece viva, e gli
suggerì qualche parolina da dire.
Non se lo fece ripetere due volte, buttò sul camion una
poltrona di scena e partì allinseguimento di Armonio.
« Bene bene signor tranquillità assoluta e ho raggiunto
la pace dei sensi e sto benissimo dove sto
. Mi sembra che
il suo sia un attacco dinsicurezza in piena regola! Ahh
meno male che anche te hai dei dubbi sulla vita, cominciavo a
sentirmi lunico imbecille!» .
« Ma che dici Doppio Riflesso ? Non capisco ??.»
E invece capiva, e come se capiva.
Capiva che lamico non aveva creduto alla storia dello star
bene a casa e che invece la sua paura del mondo sconosciuto era
lì che salutava tutti e si presentava allegramente.
« Non ci credo neanche un po che non sei tentato di
venire, dì piuttosto che sguazzi bene fin dove conosci,
ma un metro più in là affoghi»
« Arrivederci Doppio Riflesso è stato un piacere
».
E se ne andò a casa rimanendo tutto il giorno arrabbiato
con se stesso perché non aveva avuto il coraggio di partire
e con lamico che laveva visto dentro ,fino a tarda
sera quando simbestialì ancora di più con
le ferrovie, perchè fino al giorno dopo non avevano un
treno che lo portasse dove si stava recando la compagnia.
Dalla stazione al teatro ci saranno stati almeno tre chilometri,
ma Armonio risolse di farseli a piedi in compagnia della valigia,
in modo da smaltire lansia e lincertezza mentre camminava;
a metà percorso aveva deciso che magari avrebbe fatto meglio
a smaltirle su un autobus,ma ormai finì il tragitto ugualmente,
per punto preso.
Entrò dal retropalco con aria minacciosa, puntò
dritto verso la voce di Doppio Riflesso, in bilico su una scala
mentre avvitava una lampadina e guardando più o meno verso
di lui gli urlò:
« Quando uno non ha niente da dire, è bene che stia
zitto ».
Girò i tacchi cercando i camerini, ma era felice e sentiva
il sorriso dellamico che lo guardava dallalto mentre
si allontanava.
Il teatro era un piccolo mondo a parte, che viveva dei propri
cicli e delle proprie tradizioni, la finzione scenica era la realtà
di tutti i giorni , mentre la vita al di fuori, appariva quasi
un racconto di altre persone, persino la luce del sole era rappresentata
dalle luci di scena, visto che artisti e teatranti vivevano al
chiuso e uscivano solo la notte, a opera finita.
La compagnia degli artisti itineranti era specializzata in operette,
ma di tanto in tanto metteva in scena qualche commedia di solito
reclutando vecchie glorie davanspettacolo che si ostinavano
a calcare le scene, anche perché la pensione dartista
faceva si che chi aveva vissuto darte, morisse poi di fame.
Le commedie di solito venivano allestite quando cera da
tappare un buco, cioè quando saltava fuori una data non
prevista dalla tournèe e per la quale i cantanti magari
avevano già preso impegni, per cui limpresario tutto
contento chiamava questo o quel vecchio attore, in nome dellantica
amicizia e sempre,ovviamente, per amore della ribalta, e con tre
soldi metteva su uno spettacolo in più.
Pensate quindi a tutte due le facce di Doppio Riflesso quando
gli fu comunicato il nome del paese dove si sarebbero fermati
quella sera, esattamente il suo.
Non ci voleva andare , pensava a tutte le scuse possibili per
non scendere dal furgone,si voleva dare malato, ma non voleva
neanche andare in albergo, era lunico del paese e lo conoscevano
benissimo.
Anche se nessuno della sua famiglia fosse venuto a vedere lo spettacolo,
sicuramente qualcuno lo avrebbe visto e la notizia avrebbe fatto
il giro dei parenti in un attimo.
Era la prima volta che si domandava cosa avesse detto la gente
nel momento in cui se nera andato, al momento non gli aveva
dato peso, ma ora si rendeva conto che doveva aver sollevato un
bel po di chiacchere e questo gli fece male, non per sé,
non glimportava dei giudizi altrui, ma simmaginò
che i suoi, specialmente i nonni fossero stati molto male, forse
addirittura non erano usciti di casa per molto tempo.
Gli dispiacque tanto questo pensiero, tuttavia non si sentiva
in colpa, e quindi perché tanta paura?
Se li avesse visti li avrebbe affrontati.
Aah sinuosa, insolente, fastidiosa vocetta nella testa , dietro
lorecchio, sibilante e mai sibillina, anzi fin troppo chiara:
«Se? Se? Lasci al caso? Se dici di non temere nulla vai
da loro, se non temevi niente ti saresti fatto sentire già
da tanto tempo
ma siccome non hai niente tra le mani da
far vedere allora preferisci nasconderle ».
Si infatti, era vero, non era orgoglioso del mestiere che faceva,
senza nulla togliere a chi lo praticava con passione, era stato
divertente allinizio, ma adesso quel senso dinsoddisfazione
non gli dava pace .
E in più diciamocela tutta, temeva il giudizio dei suoi.
Armonio chiese in che paese si fossero fermati e immaginò
da quello che gli aveva raccontato, lo stato danimo dellamico.
Lo cercò per un po tra i tecnici, poi la sarta gli
spiegò daverlo visto nel retro del teatro ,in un
parcheggio che sistemava lattrezzeria .
« Se cercavi meglio un posto più nascosto lo trovavi,
sottoterra non era male ».
Uff.. Armonio era pungente sempre, sia quando voleva farti un
complimento che un rimprovero.
« Guarda lasciamo perdere, non sono dellumore per
discutere ».
« Ma infatti non è con me che dovresti discutere
».
Aveva ragione, di nuovo come fa una persona a farti irritare così
tanto quando sai che ha ragione?
Uno si dovrebbe arrabbiare quando vede il torto, non il giusto.
Altre stranezze dellanimo umano.
« Dai via togliti il dubbio, vacci a parlare, almeno sai
di che morte devi morire ».
« Io non voglio morire di nessuna morte, e quando dovrò
non voglio sapere come»
« Speriamo almeno che tu muoia con la coscienza pulita allora,
a dopo , vado a provare.»
La sua coscienza era pulitissima e se la rideva continuando a
tirargli i pizzicotti, era lui infatti che si sentiva poco pulito,
come se avesse sbagliato sapendo di essere nel giusto.
Continuava a martellare su un chiodo, mentre si immaginava tutti
i papabili approcci con i suoi, ma neanche uno lo soddisfaceva.
La serata passò come erano passate tutte le altre, la commedia
andò bene e della famiglia di Doppio Riflesso neanche l
ombra ne in teatro ne dopo; magari nessuno laveva
visto o riconosciuto, magari anche avendolo saputo non si erano
voluti far vedere.
Mentre la compagnia ripartiva lindomani mattina, Doppio
Riflesso non si sentiva affatto sollevato come si era immaginato,
uno stato danimo strano lo pervadeva, forse alla fine un
po ci sperava che si facessero avanti loro per primi, forse
si biasimava per aver preso la decisione di non fare niente.
Il non agire spesso porta più gravi conseguenze del fare
tutto.
Con questi pensieri nella testa, si allontanava dal paese guardando
dal finestrino la valle natia, sempre uguale,sempre verdissima,
ma mai bella come ora.
Per la prima volta da quando aveva intrapreso il suo viaggio per
il mondo e per la vita, due silenziose lacrime scesero dagli occhi
di Doppio Riflesso, urlando mute il loro dolore, si sentiva perso
proprio lì dove conosceva ogni angolo e solo, dove invece
cera la sua famiglia.
Armonio gli stava seduto accanto.
« Dai su,si vede che non eri pronto, non era il momento»
« E come faccio a sapere quando viene questo momento, non
so nemmeno se lo voglio o no.»
« Fai finta di essere il cielo e vedi i tuoi pensieri come
fossero nuvole,passano, cambiano forma e colore, ma sono loro
che mutano non tu,dagli la direzione che vuoi,non far decidere
a loro»
Essere come il cielo,chiamare il vento e soffiare via tutto.
Sarebbe stato bello imparare a farlo.
Il paese dove arrivarono era un minuscolo borghetto in cima
ad una collina, dove i furgoni salirono a malapena,sbuffando e
fischiando,pronti a congedarsi con onore dalla loro lunga carriera
di fatiche,ma resistettero anche questa volta tra rumoracci e
fumo.
Tutta la cittadina era allegramente decorata con striscioni e
manifesti bianchi e rossi, che ricordavano a tutti di partecipare
alla fiera annuale, allestita nella piazza centrale, dove una
sconquassata orchestrina teneva il tempo accompagnata dal vociare
della gente impegnata a curiosare tra tutte le bancarelle allestite.
Doppio Riflesso e Armonio si erano concessi unoretta di
vagabondaggio ,anche se venti minuti erano più che sufficienti
per fare il giro del paese.
In un angolo tra la chiesa e un palazzo, sotto un arco di antichi
mattoni era stata appesa una catena attaccata alla quale una lanterna
in ferro battuto liberava una fiammella gialla e azzurra che si
disperdeva in una spirale di fumo.
A ridosso della parete un tavolino rotondo e due sedie, su una
delle quali immersa nella lettura di un libro stava una signora
senza età , la sua testa era una palla di vetro con la
neve finta di polistirolo dentro che vorticava ogni volta che
si muoveva, il corpo non era ben riconoscibile per via del lungo
mantello blu cobalto che indossava.
Dentro la palla gli occhi a forma di palle da biliardo blu scrutavano
attentamente le pagine, mentre un elegante cartello scritto a
mano con calligrafia daltri tempi diceva » Si leggono
le rune»
Doppio Riflesso si fermò a guardarla pensando tra lo scettico
e il curioso cosa fossero le rune, quando questa senza alzare
lo sguardo dal libro gli si rivolse :
« Quando al dolce pensiero silenzioso aggiungo il ricordo
di cose passate, sospiro per la mancanza di tante cose desiderate.
E per vecchie pene rinnovate lamento lo spreco del mio tempo più
caro.
Allora mi affliggo di afflizioni già passate, e di pena
in pena tristemente ripasso il conto infelice di pianti già
pianti che ancora pago come se non lavessi mai pagato ».
« Come scusi? Dice a me? « chiese Doppio Riflesso
affascinato dalle parole anche se non aveva ancora capito il senso.
« Si dico a te»
« Che belle parole ,complimenti, ma non le ho capite bene»
« Ah la prima volta che le ho lette nemmeno io,era tanto
tempo fa, ma mi sembrano appropriate alla tua situazione ».
Doppio Riflesso pensò subito che volesse raggirarlo e fargli
spendere due soldi e incrociò le braccia sul petto irritato
:
« Guardi che non voglio che mi legga le rune o quelle cose
che fa lei»
La strana signora rise di gusto e appoggiando il libro sul tavolo
dopo aver messo un segnalibro si frugò in tasca e tirò
fuori un sacchetto nero di velluto chiuso con un nastrino.
« Ma infatti non sei te che lo vuoi, sono loro che vogliono
dirti qualcosa, avanti siediti, non ti farò pagare nulla,
quando mi chiamano così è un piacere leggerle ».
Doppio Riflesso strinse gli occhi dubbioso e voltò la faccia
piccola facendo comparire quella che ingrandiva.
Armonio gli dette una gomitata nelle schiena dicendogli:
« E vai la curiosità mica morde»
Bhè insomma a volte azzanna.
Si sedette al tavolo guardandosi intorno con aria un po
colpevole.
Quanto ci facciamo ingannare dalle bugie della mente, pensiamo
ai pensieri degli altri non accorgendosi che sono i nostri.
« Queste sono rune - iniziò la donna - lettere di
un antico alfabeto celtico che parlano attraverso me e vengono
sempre a dire qualcosa dimportante, ascoltale con il cuore
, pescane cinque»
Doppio riflesso tirò fuori cinque quadrati di vetro opaco
che recavano su una faccia una lettera ciascuna, sembravano disegni
più che lettere e gliele porse,lei le sistemò a
croce davanti a sé.
« Bene,abbiamo un guerriero qui, un guerriero senza spada»
« Lho persa? «- ironizzò .
« No, non lhai trovata giovane scudiero,ma hai iniziato
bene la tua ricerca, solo che non puoi sapere dove andare se prima
non trovi la strada»
« O bella questa, è nuova.Io penso che prima devo
decidere dove voglio andare e poi chiedo la strada per arrivarci
no?»
« Se chiedi la strada agli altri tindicheranno la
loro, quella che conoscono,quella che hanno fatto o quella che
gli è stata raccontata.Devi scegliere te quale è
la tua e ci penserà lei a portarti a destinazione»
Qualcosa cominciava a quadrare nella sua testa,forse era solo
una brava imbonitrice,ma pensandoci bene tutto il suo viaggio
era iniziato perché qualcuno aveva scelto il percorso per
lui, e quando se nera accorto aveva cambiato direzione.
« Guardati bene dentro, guarda te stesso e basta, non ascoltare,
non giudicare, lascia scorrere, la realtà non è
fuori ,ne piccola,ne ingrandita, la realtà
sei solo tu»
Anche Armonio ascoltava e faceva sue quelle parole, si rese
conto che pur non vedendo aveva sempre guardato la verità
al di fuori,sporcata e distorta da milioni di occhi e visioni
diverse.
« Andate ragazzi, godetevi la giornata e ricordatevi di
gustarvi il viaggio, il punto di arrivo sarà solo un posto
dove vedere un orizzonte ancora più lontano e ripartire.»
Trascorsero il resto del tempo a loro disposizione mangiando caramelle
gommose e colorate ad una bancarella, ma parlarono poco tra di
loro, poiché stavano facendo ambedue un lungo discorso
con se stessi.
La notte in albergo, nella loro stanzetta arredata con il minimo
indispensabile ritornarono alle parole della signora, Armonio
sdraiato sul letto aveva accavallato le gambe una sullaltra
e muoveva ritmicamente un piede su e giù.
« Io ho sempre pensato che la cosa che mi piace di più
al mondo è la musica, forse è questa la mia strada.
».
« Io ho sempre pensato che la tua strada tu lavessi
già trovata, certo che è la musica, potresti andare
ovunque con la tua bravura ».
« Un direttore dorchestra cieco? Chi ti prende? ».
Ma quella sera non gli sembrava tanto stramba lidea,iniziava
a prendere forma nella sua mente,era assurda, ma non proprio impossibile
come aveva pensato fino al giorno prima.
« Vuoi passare la vita a suggerire agli altri cosa devono
dire dentro una buca sotto un palco? ».
« E te vuoi passarla caricando e scaricando il camion degli
attrezzi aspettando cosa non si sa? ».
Facciamo cose che non vorremmo fare pensando cosa ci piacerebbe,
rimanendo nel passato anche quando siamo nel presente,legati a
quelli che crediamo desideri e invece sono i lamenti di ciò
che non abbiamo avuto.
Sono i nostri pianti già pianti, come scriveva Shakespeare
quando la signora lo leggeva.
Doppio Riflesso invidiava chi aveva una passione, un talento e
si ripeteva che se li avesse avuti lui, li avrebbe sfruttati pienamente
e la sua vita sarebbe stata felice, appagata, non riusciva a comprendere
chi come Armonio avesse già la fortuna di conoscere se
non la strada ,almeno il mezzo con cui percorrerla.
Parlarono molto quella sera e al trillo della sveglia si alzarono
assonnati e in silenzio scesero a fare colazione nella piccola
hall dellalbergo, mentre aspettavano gli altri notarono
una cartina stradale appesa ad una parete e si avvicinarono per
cercare la strada che avrebbero fatto per arrivare alla città
seguente che non era lontanissima, ma dovevano andare fino alla
costa, proprio sul mare, con lestate alle porte doveva essere
proprio un bel posto.
Finirono in fretta di preparare le loro cose e le caricarono sul
furgone, che questa volta non ne voleva sapere di partire, dovettero
scendere e spingerlo per un bel pezzo prima che si decidesse a
mettersi in moto.
Ogni volta che rallentavano, il motore sembrava morire paurosamente,
il macchinista alla guida, sgassava rumorosamente e il mezzo faceva
un balzo in avanti,lasciando con uno scoppio una nuvoletta di
pesante fumo nero.
Quello che doveva essere un breve viaggio, durò quasi tutto
il giorno, con diverse soste per far ghiacciare il motore e riabboccare
lacqua nel radiatore che soffiava sbuffando come la bocca
dellinferno.
Giunsero al paese quasi al tramonto e visto che fino allindomani
mattina non potevano scaricare i camion, Armonio e Doppio Riflesso
fecero due passi sul lungomare,un viale stretto pieno di aiuole
curate e panchine di legno e ferro,sulle quali stavano incisi
i nomi di molte persone,da sole, in gruppo, accompagnate da date
o frasi commemorative del momento in cui erano state impresse.
Tra due cespugli sempreverdi potati diligentemente , cera
una fontana in marmo bianco, con una piccola vasca a forma di
barchetta che riceveva lacqua dalla bocca di un delfino,
posto proprio di fianco allimbarcazione come se fosse curioso
di vedere cosa cera dentro e sporgesse la testolina per
guardare meglio.
Un gabbiano si posò sul muso del delfino, avvezzo ormai
ai passanti e per niente disturbato dalla loro presenza, con le
zampette gialle palmate ben allineate come un soldatino si posizionò
in modo da avere il getto dellacqua proprio sotto di sé
e iniziò a tuffare la testa nello zampillo,si bagnava un
attimo e si rialzava scrollandosi, poi in bilico su una zampa
sola, si sciacquava laltra, alternandole con un perfetto
movimento da equilibrista.
Era un piacere vederlo.
Qualche turista scattava delle foto e le mamme indicavano ai bambini
quello spettacolo insolito.
Doppio Riflesso ne era particolarmente sorpreso.
« Vedi un po che devo ricredermi sui gabbiani, li
ho sempre visti come degli spazzini che mangiano le peggio cose
trovate nelle discariche e invece guarda questo che eleganza,
con quanta grazia si lava, mi pare perfino bello ».
E rimasero a lungo ad osservarlo, fino a quando aprì le
ali a forma di V spiccando il volo verso la direzione che aveva
puntato.
« Secondo te anche il gabbiano ha trovato prima la strada
o sa dove dirigersi? » chiese Doppio Riflesso che sovente
pensava alle parole della signora.
« Penso che guardi prima la strada, guarda il tempo, i venti
e poi si alza in volo, fermandosi dove più gli ispira.Si
penso faccia così. Ti piacerebbe fermarti qui dove cè
il mare? Dice che sia veramente ipnotico a vedersi ».
A dire la verità Doppio Riflesso non laveva mai visto
così, ma aveva sentito molte persone che non riuscivano
a vivere lontane dal mare, a queste bastava esservi vicino per
sentirsi in pace e tranquillità.
Per lui era molto bello certo, specialmente alla fine della primavera,
ma le sensazioni più forti da quando aveva preso a viaggiare,
le aveva provate maggiormente in altri posti.
Si sentiva bene e a suo agio specialmente nei centri storici di
città medievali, dove il tempo la faceva da signore incontrastato
, dove tutte le storie della gente e del passato, avevano steso
un velo di anime sui muri e sui tetti dei palazzi antichi, dove
ogni singola pietra aveva visto e sapeva più cose della
maggior parte di coloro che ogni giorno la calcavano.
Cera nel vissuto di quei posti, un calore, una poesia, un
energia che secondo lui non si potevano trovare in nessun
altro luogo.
I comignoli avevano sentito bruciare anni e anni dinverni,
le tegole avevano raccolto pioggia e neve lasciandola scorrere
fino a quella successiva.
Ogni piccolo pezzetto di muro ascoltava silente le grida, i pianti
, i sospiri di decine di lustri, passati e ripassati, e quei palazzi,
quelle vie, erano sempre là, saggi e consapevoli della
loro storia e di quanta ancora ce ne sarebbe stata.
Quanti racconti, quante epoche in quegli stemmi, in quelle targhe,
in quelle statue agli angoli dei crocevia;restava il ricordo di
chi le aveva fatte, ma era il loro essere in sé per sé
ad affascinare chi era venuto dopo, limperitura gloria degli
autori era stata solo un tramite.
Il mare era splendido e affascinante, ma quelle opere umane erano
il risultato di unidea, un progetto, un desiderio di qualcuno
che era stato spinto da un moto dellanimo, da una passione,
da una motivazione, che aveva trovato la strada per giungere fin
dove voleva.
Doppio Riflesso era più depresso ogni giorno che passava,
un cane che si mordeva la coda, una tigre in gabbia, sentiva di
dover fare , fare, fare, fare qualcosa ma non focalizzava, vedeva
energie sprecate schizzare qua e là senza meta, e avrebbe
voluto incanalarle, dirigerle da qualche parte, ma non sapeva
dove e in che modo, e più ci pensava , più si abbatteva,
più si abbatteva più ci pensava.
« Armonio senti , io bisogna che faccia qualcosa, non
so bene cosa, ma ogni volta che ci penso mi viene in mente che
almeno un peso posso levarmelo. Vieni con me a casa dai miei,
voglio provare a rimediare»
Questa decisione laveva presa così, allimprovviso,
una mattina , appena sveglio, si era stancato di stare sempre
male, era stufo di quel peso sul cuore che lo faceva sospirare
in continuazione, magari sarebbe andata male e le cose sarebbero
rimaste uguali,ma almeno si levava il dubbio,o magari sarebbero
andate bene e allora la situazione poteva solo migliorare.
« E qui che facciamo ? Ce ne andiamo ? «- simpaurì
subito Armonio, che era più per il motto « armiamoci
e partite » e che ancora si stupiva del coraggio che aveva
avuto a prendere il treno e seguire la compagnia.
« Io vado, fai come vuoi, vieni con me o ti devo aspettare
alla prossima stazione ? ».
Armonio si sentì punto sul vivo, ma capì che era
un complimento quello e quella mezza aria di sfida non guastava.
« No caro questa volta il viaggio lo faccio in compagnia»
Diedero una settimana di preavviso e lultimo giorno salutarono
tutti, a dir la verità con un po di magone in gola,
perché con gli altri erano stati bene , iniziando i preparativi
per il ritorno verso casa.
Chissà se era un andata invece?
Lanimo umano si abitua talmente tanto alle situazioni ,
che anche quelle brutte , quelle dinsoddisfazione , quando
le lasciamo ci fanno stare male, ci mettono un po di nostalgia
nel cuore.
Dovremmo imparare che è solo paura del nuovo, perché
per quanto negative , le situazioni giornaliere ci fanno sentire
al sicuro, le conosciamo, riusciamo a gestirle.
Lasciamo la nostalgia per i bei ricordi, per persone e situazioni
che ci hanno fatto ,stare bene, lasciamola però lì
dove si trova, a suo agio nel passato, senza desiderio di riviverla
, altre sensazioni saranno meritevoli della nostra attenzione,
liberiamogli spazio altrimenti non sapranno dove sistemarsi.
Comè strana lanima, non si sa mai quanta felicità
riesce a sopportare, si porta sempre dietro un po di dolore,
quasi volesse bilanciare la gioia futura, trova la pecca nella
perfezione, aspetta lombra appena spunta un raggio di sole.
Forse ci meritiamo appieno tutte le nostre angosce.
Il regionale partiva dal binario tre a mezzogiorno, alle undici
Armonio e Doppio Riflesso erano già alla banchina a sedere
sulle valigie,questultimo guardava impaziente lorologio
fermo della stazione, come se improvvisamente si rimettesse in
moto e velocemente raggiungesse lora giusta.
Le lancette immobili invece davano ancor più la sensazione
che il tempo non passasse mai.
« Quanto hai detto che ci vuole ad arrivare ?»
« Tre ore, tre ore e qualcosa
» .
Venivano annunciati treni in partenza e in arrivo, landirivieni
dei bagagli e delle persone , i saluti dei parenti, le raccomandazioni
delle mamme,sembrava che il mondo davanti a loro si muovesse,
mentre nella loro piccola bolla dattesa tutto si fosse immobilizzato.
Ma si sa, come con il filo delle Parche, la ruota gira, gira e
girando fa arrivare tutto, anche il treno delle 12.
Salirono sulla prima carrozza, sistemate le valigie sul ripiano
porta bagagli, si sedettero accanto al finestrino luno di
fronte allaltro.
Dopo un paio di fermate, nel loro scompartimento entrò
un signore tozzo e impacciato, che con una vocina flebile chiese
:
« E libero ? ».
Aveva un valigia talmente grossa e pesante, da potersi definire
un baule mancato, fu necessario laiuto anche del bigliettaio
per riuscire a sistemarla , dopodichè il signore affaticato
si lasciò andare a sedere pesantemente soddisfatto.
Aveva il corpo a forma di piccolo armadio a due ante, con tanto
di chiave dorata nella toppa e nappina colorata attaccata, come
braccia e gambe dei cilindri in plastica che ricordavano i portaombrelli,
al posto delle dita pennelli e matite, mentre il viso era una
tavolozza da pittore, con il foro per il pollice che fungeva da
bocca e tre spruzzi di colore verde per gli occhi e il naso.
Girò la chiave che aveva sul davanti,aprendo unanta,
sintravidero tre cassetti finemente intarsiati, con rilievi
rococò tra le venature più scure ed estrasse un
giornale.
Sedeva spostato sulla destra, dalla parte opposta a Doppio Riflesso,
che era nella direzione di marcia del treno e poteva vedere di
cosa trattasse la rivista, leggendone il titolo « Antiquari
e restauratori « .
Sulla copertina si vedeva due figure identiche ma diverse, in
quanto quella di sinistra appariva sbiadita e dai contorni imprecisi,
laltra era nitida e spiccava sulla sfondo come se si stesse
per staccare e prendere vita.
Doveva essere lo stesso quadro prima e dopo il restauro.
Che mestiere affascinante doveva essere quello, riportare a nuova
vita capolavori dellarte , risoffiare aliti vitali su bellezze
ormai smorte.
Doveva essere molto difficile pensare di ridonare beltà
senza sminuire quella originale ed essere talmente bravi da riprodurre
il genio del primo creatore senza mai oltrepassare loriginaria
mano, togliere il velo grigio degli anni trascorsi senza portar
via il valore mai perso nel tempo.
Doppio Riflesso avrebbe voluto chiedere al signore qualche cosa
in più, ma questi era impegnato nella lettura e non alzando
gli occhi non cera modo di cogliere loccasione per
iniziare il discorso.
Finalmente dopo tre quarti dora, si stancò di leggere,e
arrotolato il giornale a mo di Cannocchiale,si alzò
in piedi per sgranchirsi le gambe, stendendo le braccia verso
lalto e stringendo gli occhi.
Usò il giornale arrotolato per grattarsi la schiena, si
stropicciò gli occhi, rimettendosi a sedere.
« Mi scusi,gentilmente, ma ho visto il giornale.Lei è
un antiquario o un restauratore ?»
« Un po tutti e due, diciamo che ho iniziato come
restauratore e poi quando me lo sono potuto permettere, ho iniziato
anche ad occuparmi personalmente di antiquariato »- raccontò
con la sua vocina da usignolo il signor Ridò, così
disse di chiamarsi.
Armonio dovette girarsi verso il finestrino e far finta di sbadigliare.
Quella vocina la trovava esilarante e non riusciva a trattenersi
dal sogghignare, il tono stridulo e sgraziato poi era una simpatica
e buffa offesa al suo orecchio musicale, se avesse potuto vedere
il contrasto con il fisico grosso e tozzo, allora si che avrebbe
riso di gusto.
A Doppio Riflesso veniva in mente una domanda dopo laltra,e
visto che il suo interlocutore sembrava avere la passione per
la chiacchiera oltre che per larte, passò tutto il
resto del viaggio ad informarsi su ogni piccolo dettaglio che
poteva avere quellinteressante mestiere.
Dentro di sé, unemozione viva e positiva, sopita
da tempo, si risvegliava, facendosi largo a gomitate verso la
doppia testa di Doppio Riflesso che sorrideva annuendo, e continuava
ininterrottamente a voler apprendere tutto quello che era possibile
dal signor Ridò.
Era tanta la passione vista in quel giovane da dargli il suo biglietto
da visita quando giunse alla sua stazione darrivo e dicendogli:
« Bhè, tieni, questo è il mio biglietto, non
si sa mai nella vita
».
In effetti è vero,specialmente quando non si vuol sapere,
non si sa mai niente nella vita.
Quando giunsero a destinazione Doppio Riflesso ebbe paura,era
stato così preso dalla conversazione da non pensare al
perché stava tornando a casa, improvvisamente pensò
di aver sbagliato tutto e gli venne voglia di risalire sul primo
treno e tornare indietro, lentusiasmo che aveva provato
fino a pochi minuti prima era scomparso, non sapeva bene quale
doveva essere il primo passo da fare e rimaneva lì,fuori
dalla stazione con la valigia in mano come se fosse la prima volta
che vedeva quel paese.
« Ehi, va bene che sono bravo ma se non mi dici cosa dobbiamo
fare e dove dobbiamo andare,non è che ti posso portare
in braccio io»
Armonio lo incalzò percependo lansia dellamico
e rimase qualche istante ad attendere risposta.
Non avendola insistette.
« Andiamo su, non è che mi sono licenziato per niente,
sbrighiamoci ad affrontare questa situazione, dai forza che ci
sono anchio .».
Doppio Riflesso alzò gli occhi da terra e mentalmente simmaginò
di sfoderare una scintillante spada argentata, guardò dritto
davanti a sé, ruotò il viso sistemando la faccia
ingrandita e finalmente si mosse.
Ad ogni passo il cuore gli saliva in gola ancora di più,
aveva un nodo allo stomaco dal nervoso, ma di positivo cera
che la vocina antipatica nella sua testa se ne stava zitta e buona,
forse era un buon segno, magari stava facendo la cosa giusta.
Da lontano apparve la sua casa, ancora uguale, chissà perché
si era immaginato di trovare qualcosa di diverso, che in qualche
modo si aspettassero il suo ritorno,ma la via era quella di sempre,il
pezzo di marciapiede sbeccato era ancora al suo posto e anche
il cancello del giardino cigolò come al solito aprendolo.
Le aiuole del giardino erano state seminate a pansè, come
sempre in quel periodo dellanno e nellorto siniziavano
a vedere i primi frutti che la semina invernale aveva preparato.
Salì i gradini fino alla porta dingresso, con Armonio
che lo seguiva silenziosamente, chiedendo solo di tanto in tanto
quali ostacoli ci fossero e sentendo la strada con il suo fidato
bastone bianco.
Pensò di aprire la porta come sempre,sapendo che non era
chiusa ,poi ci ripensò e suonò il campanello.
Si sentiva estraneo e non era affatto una sensazione piacevole.
« Chi è? «- chiese la mamma affacciandosi alla
finestra della cucina a pianterreno.
Per un attimo lo guardò sbigottita, poi iniziò a
piangere e a ridere nello stesso tempo,precipitandosi ad aprire
la porta.
Lo abbracciò ricoprendolo di baci, e altro non sapeva fare
se non chiamarlo per nome e continuando a baciarlo.
Continuò così per un bel po,poi si asciugò
le lacrime con il grembiule da cucina e li fece entrare in casa,precedendoli
in salotto.
Si presentò allamico e iniziò a chiedere se
avessero fame o sete.
Tutta quella scena era agli occhi di Doppio Riflesso abbastanza
sconcertante,non si sentiva sollevato dalla calorosa accoglienza,avrebbe
voluto parlare, dire un sacco di cose,ma non trovava una frase
completa nella sua testa,sembrava fosse tornato da una vacanza,mentre
sapevano benissimo tutti come erano andate le cose.
Lo irritava tutta leuforia e la gioia della mamma,era come
se facesse finta di niente,mentre lui in tutti quei mesi era stato
tormentato da dubbi e angosce,e proprio non riusciva a farli sparire
così come se niente fosse.
Si sentiva anche un po in colpa per questi pensieri,sicuramente
lunica cosa che in quel momento contava per sua madre,era
vederlo di nuovo,sano e a casa,di sicuro anche lei non doveva
aver passato dei bei momenti.
« E il babbo? Dovè? E i nonni?»
Venne a sapere che i nonni stavano abbastanza bene e sicuramente
erano a casa, per loro era quasi ora di cena,il babbo sarebbe
rientrato a momenti.
E infatti dopo pochi minuti,si udì la porta aprirsi e rimase
tale,visto che dalla soglia si vedeva il salotto.
Il papà rimase fermo,guardava negli occhi Doppio Riflesso
e non pronunciava parola.
Rimasero così a guardarsi, la mamma non era più
così euforica come un momento prima,Armonio avrebbe pagato
qualcuno perché gli descrivesse cosa stava succedendo,anche
se più o meno si stava immaginando la scena così
come si stava svolgendo.
Improvvisamente da dietro le spalle del babbo, comparve il nonno
con un paniere di vimini coperto da un tovagliolo blu, sicuramente
aveva colto primizie nellorto e gliele portava prima di
andarsene a cena a casa sua.
Rimase un attimo sbigottito,poi come se fosse la cosa più
naturale del mondo,scostò il genero che rimaneva impietrito
tipo statua di sale, gli passò oltre,si avvicinò
a Doppio Riflesso e dopo avergli dato una sonora pacca dietro
il collo esclamò:
« Bhà .. Chi non muore si rivede! Ce ne hai messo
di tempo! Allora comè questo mondo ? ».
« Bello nonno, veramente bello »
E saltatogli al collo cominciò a piangere come un agnellino.
E più piangeva, più stringeva il nonno e sentiva
sollievo e gioia e paura, ed era come se avesse ancora cinque
anni e contemporaneamente si sentiva un uomo, pianse tutte le
lacrime che non aveva pianto, e si sentì forte perché
così era adesso e non aveva affatto paura di farlo vedere.
Iniziò a raccontare come gli fossero andate le cose, il
babbo ancora muto,stonato come se avesse preso una botta in testa
fu spedito a chiamare la nonna,mentre la mamma ,manco a dirlo,preparava
cena per sei,tirando fuori il servito delle grandi occasioni e
apparecchiando in sala da pranzo, con tanto di bicchieri distinti
per lacqua e per il vino.
Saltò fuori da non si sa dove una bottiglia di quelle speciali
,per le grandi occasioni,quelle che aspettano, aspettano,simpolverano
e mai nessun evento è così importante da far verificare
se nel frattempo il paziente vino è diventato aceto.
Ma quella sera fu giudicata talmente speciale che il nonno sentenziò
di averlo sempre saputo che prima o poi quella lapriva.
La nonna ebbe un principio di svenimento e sdraiata in poltrona
, mentre la mamma la sventolava con il fido grembiule, si riebbe
solo dopo aver bevuto alla goccia un bicchiere di cognac,quello
non delle grandi occasioni, ma delle grandi paure, un toccasana
in caso di spavento,specialmente quattro dita a digiuno.
La cena trascorse allegramente, a parte la catatonia del babbo,
che da bravo uomo forte tutto dun pezzo, non era riuscito
a trovare mezza frase di rimprovero e neanche un quarto di biasimo
e aveva rimandato la paternale al giorno dopo
Però aveva serie intenzioni di farla.
Armonio trovò tutti simpatici,intuiva che il nocciolo della
questione doveva venir fuori prima o poi, ma come inizio andava
più che bene,vuoi anche per la sua presenza, i toni erano
amichevoli e quando se ne andarono a dormire nella camera di Doppio
Riflesso,era più che contento di averlo seguito.
Era felice per lamico,era felice per la decisione di essere
venuto con lui,era felice per il mondo,si addormentarono appena
toccato il letto.
La mattina seguente per qualche istante Doppio Riflesso non riusciva
a capire dove fosse, gli sembrava di essere in qualche albergo,
ma non ricordava quale,poi aprì gli occhi e vide la tenda
familiare che faceva filtrare la luce in un determinato modo e
con un certo colore e si godette quel risveglio beato, se non
che, dopo essere stata così pacatamente silenziosa, la
petulante vocina gli dette il buongiorno:
«Non penserai mica di essertela cavata così vero?
Ci devi parlare e per bene,altrimenti non ha senso che tu sia
venuto»
« Uffa e un attimo no? Almeno fammi godere questi cinque
minuti appena sveglio »
« Noo, te lo ricordo subito, altrimenti ti fai prendere
dalleuforia del momento,dai vizi di mamma e vogliamoci tutti
bene e tutto va a finire a tarallucci e vino.Poi sono io che ti
devo sopportare tra un po con le tue beghe e i tuoi vortici
mentali ».
Che dire
.quando uno ha ragione, ce lha.
Scesi a fare colazione, trovarono tutta la famiglia che li attendeva,
come se non avessero niente altro da fare che rassicurarsi nuovamente
di averlo lì davanti a loro.
Il babbo che era riuscito ad aprire bocca, ma in compenso non
aveva chiuso occhio si fece coraggio:
« Ora che sei tornato, cioè sempre che tu sia tornato,voglio
dire se sei tornato per essere tornato..»- e con quel panegirico
confuso espresse chiaramente lo stato danimo di tutti.
« Volete sapere se resto ? Non lo so , non credo, non per
molto»
La mamma fece finta che nellaltra stanza avessero urgente
bisogno di lei, ma Doppio Riflesso la fermò.
« Sono tornato per parlare,sono tornato perché voglio
continuare a fare quello che sto facendo, ma senza il peso che
mi dava il non sentirvi o il non parlarvi più»
« E cosa stai facendo ?»- iniziò il babbo cominciando
ad agitarsi.
« Cerco la strada»
Il papà stava per piantare un pugno sul tavolo, ma il nonno
lo precedette spostandolo una spanna più in là,colpì
il vuoto con effetto comico anche perché si sbilanciò
e siccome non se laspettava rimase a bocca spalancata.
« Ho sempre saputo che un doppio specchio riflettente come
te non avrebbe avuto un esistenza semplice,ma non per noi,ma per
te stesso, non è facile la vita per chi decide di guardarla
,ne ho visti pochi,pochissimi.Io non mi ricordo se li invidiavo
o li biasimavo,ma di certo so che uno ogni cento o uno ogni centomila
non se la sente di osservare il mondo così comè,ma
ne vuole uno suo.Se è questo che ti fa stare bene fallo,limportante
è che se inizi, fallo fino in fondo o sarai più
infelice di tutti gli infelici che non ci hanno pensato mai,perché
non sapere del paradiso ti può rendere triste,ma guardarlo
da lontano ti può portare alla follia»
Il discorso del nonno lasciò tutti basiti, da dove arrivava
quella lungimiranza, quellapertura mentale, quella filosofia
di vita così tollerante e poetica?
Era lo stesso uomo che aveva lavorato in fabbrica una vita e che
lo aveva « costretto » ad andarci insieme ai suoi
genitori ?
Chi era costui?
Armonio scoppiò in un applauso spontaneo che immediatamente
soppresse,rendendosi conto della pesantezza della situazione.
La mamma mise la mano destra sinistra sul fianco e con la destra
lo puntò minacciosa:
« Babbo, ma cosa stai dicendo? Io non ti ho mai sentito
fare questi discorsi,lo incoraggi ad andarsene ?».
« Certo, e a tornare se vorrà tornare. E non lo sto
incoraggiando,non ne ha bisogno,lo sto ascoltando.»
La conversazione per quella mattina finì lì,più
per lo sconcerto delle parole del nonno che per mancanza di argomenti,comunque
Doppio Riflesso e Armonio decisero di trascorrervi qualche settimana,
le coccole di nonna e di mamma non mancavano,la campagna era rilassante
come sempre e magari riuscivano ad addolcire anche il babbo,provando
a parlare con calma e smorzando i toni quando sinfervoravano,
ma la cosa che più li incuriosiva era sapere da quale esperienza
o avventura di vita fossero scaturite le parole del nonno.
Aveva parlato solo con il senno del poi o aveva qualche segreto
rimasto in fondo al cuore per tutto quel tempo,che la ribellione
di Doppio Riflesso aveva riportato alla luce?
Forse era uno di quelli che ,come aveva detto lui,guardato il
paradiso da lontano erano stati condotti alla follia?
Ma il nonno non sembrava folle, non nel senso comune del termine.
Voleva capirci di più,gli sembrava unaltra di quelle
affascinanti frasi sibilline ,che intuisci ma non capisci subito,
ma senti che hanno qualcosa dimportante da insegnarti.
Una sera furono invitati a mangiare a casa dei nonni,cenarono
presto come era loro abitudine,perciò quando finirono il
sole doveva ancora tramontare e andarono a godersi la vista dal
dondolo del portico.
Le colline davanti a loro disegnavano onde allorizzonte,con
le cime ancora assolate e le ombre rotonde che si appoggiavano
sui prati,come coperte stese per riscaldare lerba nel fresco
della notte.
Le lucciole ancora non si erano svegliate,mentre i girasoli si
davano la buonanotte assopendo le corolle in braccio allo stelo,come
se la natura gli stesse cantando una ninna nanna.
Doppio Riflesso la prese larga,ma abbastanza diretta:
« Nonno cosa volevi fare alla mia età ?»
Armonio si voltò verso la domanda.
« Tante cose, lastronomo, il giocoliere,niente, da
piccolo volevo essere un gatto, un gatto nero,con la coda lunga
e folta,quelli che incontri solo di notte,un gatto della luna»
I ragazzi risero,bella lidea del nonno come un gatto, sconcertante
lidea che fosse stato un bambino,nessun vecchio sembra essere
stato giovane.
« E poi ? Perché non lhai fatto?»
« Oh non sapevo miagolare.»
Sorrisero.
« Dai dico sul serio, dimmi perché ».
Il nonno rifletté , e si perse nei ricordi.
Semplicemente ad un certo punto si era dimenticato , preso dalla
vita si era scordato di viverla.
Dopo tanti anni passati a far andare le cose si era ricordato
che erano state le cose a far andare lui, certo aveva amato molti
eventi, la famiglia, la nascita dei figli, dei nipoti, aveva fatto
in modo che le persone attorno a lui fossero serene per quanto
gli era riuscito , ma pensandoci adesso; a dir la verità
era dalla fuga di Doppio Riflesso che ci pensava , si rendeva
conto di non aver visto il paradiso da lontano, ma cera
stato un tempo in cui aveva desiderato farlo.
Non gli sovveniva come e perché avesse smesso, e ogni ragione
datasi, gli sembrava una scusa, un modo per giustificarsi.
Non voleva dire « ah tornassi indietro «, perché
quella frase gli metteva tristezza, ma a conti fatti riusciva
a intravedere nel nipote qualcosa che a suo tempo aveva solo intravisto
e mai realizzato.
« Sei in pace con te stesso nonno ? »- gli chiese,
sentendosi in imbarazzo,poiché quella era una domanda da
adulto e lui si sentiva davanti ai suoi occhi ancora piccolo.
« Si , direi di sì.Non posso fare altro alla mia
età se non essere in pace, quel che è fatto ormai
è fatto»
Non era un gran che come risposta.
Possibile che nessuno avesse mai la parolina magica, lapriti
sesamo delle domande insolute ?
Armonio, non avendo conosciuto i nonni, era affascinato da quel
signore energico ,avanti negli anni e che pure aveva avuto la
forza di mettersi in discussione e di ammetterlo,lo ammirava,
qualsiasi cosa avesse deciso per la sua vita, voleva arrivare
alla fine come lui, in pace nonostante tutto.
Quanto sarebbero rimasti ancora non lo avevano deciso, ma una
volta ripartiti voleva tornare dai suoi e mettersi a studiare
musica seriamente, aveva la fortuna di abitare in una città
abbastanza grande, quindi cerano ottime possibilità
a livello scolastico, e poi dopo non lo sapeva e non lo voleva
sapere, intanto la strada laveva imboccata.
La vedeva con i suoi occhi immaginari, se la raffigurava dritta
e liscia, di asfalto scuro e brillante, senza nemmeno un sassolino
o una buca ad interrompere quella perfezione, la bella riga bianca
nel centro proseguiva allinfinito e ai lati un morbido deserto
di sabbia gialla delineava i bordi.
Non sapeva se si stava immaginando bene il deserto, ma non importava,
nella sua mente, quindi anche nella sua realtà era così.
Doppio Riflesso era molto incerto sul da farsi, quei giorni in
campagna erano stati proprio belli, senza pensieri, in tranquillità,
ma continuare a gongolarsi in quella beatitudine gli sembrava
un modo anche poco fantasioso , di rimandare il problema.
Sapeva benissimo che di lì a poco, si sarebbe assuefatto
a quella quiete e sarebbero riaffiorate nella sua mente tutte
le angosce momentaneamente sopite.
Doveva ripartire , ripartire adesso, con un pezzetto di cuore
più tranquillo e unoasi di pace intatta pronta ad
accoglierlo ogni qual volta ne avesse avuto voglia.
Cera ancora lo scoglio del babbo però, finché
parlavano del più e del meno bene, ma come si toccava largomento
, voltava le spalle e se ne andava senza possibilità di
parlare.
Tornando dal lavoro nel tardo pomeriggio, trovò Doppio
Riflesso appoggiato al cancellino di legno bianco che chiudeva
il viottolo di ghiaia bianca del giardino.
In mano aveva un biglietto, piccolo, di cartoncino fine madreperlato,su
un lato caratteri ridondanti e precisi indicavano un indirizzo,
sullaltro limmagine di un famoso quadro con scritto
sotto « Un opera darte è un eroe omerico, immortale
tra gli dei»
« Bhè cosè? Chi è questo tizio?
»- si alterò già il babbo rigirando tra le
dita di ferro quel biglietto da visita.
« E un restauratore che ho conosciuto sul treno, voglio
andare a trovarlo, mi piacerebbe lidea di lavorare con lui»
« Guarda che bisogna studiare per fare quel mestiere e bisogna
esserci portati ».
« Allora ho fatto proprio bene a venire via dalla fabbrica,
non aveva studiato per entrarci e non ero portato ».
Il babbo si guardò frettolosamente intorno, ma non trovando
nessun oggetto piatto e resistente sul quale piantare un bel colpo
a mano aperta, aprì con rabbia il cancellino e lo sbatté
violentemente dietro di sé facendolo ondeggiare pericolosamente.
« Io vado con o senza la tua approvazione, mi sembra chiaro
che neanche questa volta stavo chiedendo il permesso, ma tinformavo
semplicemente sui fatti, da persona ragionevole quale non dimostri
di essere tu».
La mamma ascoltava di nascosto alla finestra, torcendosi tra le
mani un altro povero grembiule, osservò tutta la scena
e udendo quelle ultime parole, sentì letteralmente i piedi
del babbo frenare sul ghiaino e voltarsi di 180 gradi.
Prima che scoppiasse lalterco uscì decisa di casa
e gli si piantò fermamente davanti con le braccia incrociate
e uno sguardo che dopo anni di matrimonio significava questo e
quellaltro mondo.
Il babbo gli rispose con un brontolio e la conversazione breve,
intensa e afona finì lì.
Cenarono quasi in silenzio quella sera, le forchette tintinnavano
paurosamente , lunico rumore era quello dellacqua
quando veniva versata nei bicchieri.
Mentre stavano finendo entrò allegramente il nonno, sembrava
avere le molle sotto i piedi dalla gioia, cioè le aveva
per davvero, ma era un balzellare più felice quella
sera.
« Allora giovani quando si parte ?»
« Ah lultimo a saperlo sono stato io? « proferì
parola il padre per la prima volta da quando si era seduto a tavola.
« E meno male, guarda che muso !» - rincaro
la dose il nonno, rendendogli ancora più amari gli ultimi
bocconi della cena, che dalla rabbia aveva quasi deciso di lasciare
nel piatto, ma poi dal nervoso buttò giù.
« Domattina non so a che ore, non ho guardato gli orari,
ma qualche treno ci sarà»
Un treno cè sempre in qualsiasi stazione .
Il nonno era veramente felice per loro.
E così partirono, ognuno per la sua strada, un pezzeto
lavevano percorsa insieme e chissà se tra un bivio
e una curva trovarono mai la loro destinazione, forse un giorno
uno di loro distolse gli occhi dal selciato e si perse, magari
no.
Ogni cartello che trovarono fu fonte dispirazione o di smarrimento,
le intuizioni non vennero sempre riconosciute e spesso si fidarono
della mente che, ahimé, spesso mente.
Capirono solo che riflettere e vedere non con gli occhi erano
i loro talenti, il fatto che poi li volessero sfruttare è
tuttaltra storia.