La Pagina di: Nedo Tavera |
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SAN PAOLO DELLA CROCE E LE CLARISSE PIOMBINESI
Nuova edizione corretta e ampliata.
Nedo Tavera
pp. 124 ill. f.to 17x 24 anno 2024 15,00
EAN 9788866152989
Collana Biblioteca di Storia n. 49
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SAN PAOLO DELLA CROCE E LE CLARISSE
PIOMBINESI |
Le fonti documentarie riguardanti le Monache Clarisse Piombinesi
sono pressoché inesistenti. Un quadernetto di Memorie
del Monastero di S. Chiara, e forse poco altro, giace nell'Archivio
Vescovile di Massa Marittima, e lo lascio volentieri all'esplorazione
futura degli studiosi.
La presente pubblicazione, quindi, oltre ad essere un originale
lavoro di ricerca archivistica quanto piuttosto un devoto omaggio
alla venerabile memoria di San Paolo della Croce ed una sorta
di commemorazione, o celebrazione, in chiave storico-religiosa,
delle antiche Monache Francescane vissute durante alcuni secoli
in Piombino; le quali Monache hanno in Suor Maria Cherubina Bresciani,
Piombinese, la loro migliore e più eroica portabandiera
conosciuta.
Perciò, com'è dovere, seguirò pedissequamente
le orme di vari Autori Religiosi, ai quali non potrebbe mai sostituirsi,
nel delicato compito prefissato, la penna di un qualsiasi laico.
L'11 dicembre 1256, con sua Bolla, Papa Alessandro IV concesse
alle Monache Clarisse di Massa Marittima, che l'avevano richiesta
a sollievo della loro estrema povertà, la famosa Abbazia
di San Giustiniano di Falesia, o Faliegi, alle porte di Piombino,
con tutti i suoi beni,ormai abbandonata dai Monaci Beendettini.
«Appena un anno dopo, il 5 dicembre 1257, Fra Rinaldo da
Tocco negli Abruzzi, Cappellano e Penitenziere del Papa, che
doveva essere Delegato, almeno in Toscana, per i Monasteri, per
autorità del medesimo Papa esonera una tale Suora B.,
Abbadessa del Monastero di Massa, da tal carica, e la elegge
Abbadessa di Faliegi, dove si recherà con alcune altre
Monache ad aprire il nuovo Monastero, che dichiara del tutto
indipendente da quello di Massa». L'Abbazia assunse in
seguito la nuova dedicazione a Santa Maria, dal nome di altra
Chiesa suburbana appartenuta ai Monaci e più vicina alla
città, presso cu le Religiose stabilirono il proprio Monastero.Sicuramente
alcune avversità e difficoltà non mancarono nella
vita consuetudinaria del Monastero, il quale, fra gli alti e
bassi causati alle vicende politiche di Piombino, e con fasi
di alta luminosità, come l'esperienza apportata dalle
predicazioni di San Paolo della Croce, portò avanti onorevolmente
la propria esistenza fino al 1806, cioè fino alla soppressione
decretata dalla Principessa Elisa Bonaparte e dalle leggi napoleoniche. |
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I LUDOVISI PRINCIPI DI PIOMBINO (1634-1733) In
carteggi inediti giacenti nell'Archvio di Stato di Firenze
Nedo Tavera
pp.86 ill. f.to 17x 24 anno 2024 15,00
EAN 978886615281
Collana Biblioteca di Storia n.47 |
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I LUDOVISI PRINCIPI DI PIOMBINO (1634-1733)
In carteggi inediti nell'Archvio di Stato di Firenze |
Essendo questo un saggio su tema specifico,
non pare il caso di dilungarsi sulla riproposizione, in questa
sede, delle vicende che portarono la celebre Casa Ludovisi a
succedere all'altrettanto celebre Casa Aragonad'Appiano nella
sovranità di Piombino; pertanto, sorvoliamo sull'eventualità
di farne, qui, una pur sintetica riedizione, che risulterebbe
sia ridondante rispetto alla materia trattata sia inutile per
gli estimatori della storia piombinese. Quanto alla personalità
del capostipite della dinastia, Niccolò Ludovisi, basterà
ricordare che nacque, nel 1610, in una famiglia straordinariamente
facoltosa, che ha dato alla Chiesa cardinali e Papa Gregorio
XV, del quale egli era nipote; al centro della sua storia personale
hanno rilievo gli incarichi ricevuti dalla stessa Chiesa e dalla
Corona di Spagna in missioni ufficiali e prestigiosi ruoli. Un
accordo prematrimoniale portò, nel 1633, all'unione dinanzi
all'altare di Niccolò con Polissena, ultima Principessa
ereditaria di Piombino, figlia di Isabella Aragona d'Appiano
e Giorgio de Mendoza. Da questo piano di nozze si palesava esplicitamente
la mira dello sposo ad annettersi il Principato politicamente
strategico e dalle ambite risorse minerarie; infatti, Niccolò
trovò il modo di ottenerne l'investitura, nel 1634, allora
ventiquattrenne. Ciò che è dato evincere dall'analisi
delle sue lettere, seppure vergate da segretari non sempre del
medesimo livello di preparazione, è che il Principe non
presenta affatto un'impronta di sé assolutamente autoritaria,
tipo ancien régime, come si poteva sospettare con
quel poco che è stato indagato e scritto di lui, ma semmai
egli manifesta tratti personali che prefigurano l'immagine di
un monarca permeato di più blando dispotismo illuminato,
avente rimarchevole propensione alla considerazione ed al rispetto
dei
sudditi. Viceversa, coloro che non eccellerebbero al massimo
dai contenutiepistolari, in fatto di complessive prerogative
amministrative, sarebbero gli Anziani piombinesi, i rappresentanti
della Comunità, che in alcuni casi emergerebbero non sempre
all'altezza delle aspettative, esponendosi alla critica del Ludovisi,
come sovente era capitato prima sotto Jacopo VI.
continua.... |
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EAN 9788866152705
ALESSANDRO ARAGONA D'APPIANO PRINCIPI SUOI CONGIUNTI
E AUTORITA' PIOMBINESI DELL'EPOCA
In carteggi inediti giacenti nell'Archivio di Stato di Firenze
Nedo Tavera
pp. 234 ill. f.to 17x 24 anno 2024 18,00
EAN 9788866152705
Collana Biblioteca di Storia n. 45 |
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ALESSANDRO ARAGONA D'APPIANO PRINCIPI
SUOI CONGIUNTI E AUTORITA' PIOMBINESI DELL'EPOCA In careggi inediti
giacenti nell'Archivio di Stato di Firenze |
PREMESSA
Una precisazione d'obbligo: esiste una
vecchia consuetudine che ha preso piede in scritti vari, come
pure in opuscoli e in mass media, nei quali si tratti di storia
piombinese, e cioè l'abitudine invalsa di deno-minare
popolarmente "Appiani" i discendenti di Jacopo I d'Appiano,
ossia i Signori e Principi di Piombino; questo accade per il
vezzo di sem-plificare banalmente i cognomi, come capita di vedere
similmente con i "Gherardeschi", per indicare i "della
Gherardesca". È bene sottolineare che sostituire
la casata "d'Appiano" con il nomignolo, appunto, di
"Appiani", non trova affatto riscontro nella documentazione
storica di tutta la dinastia di detti Signori e Principi, i quali
non si sono mai auto-nominati diversamente, tranne in rarissime
eccezioni, da quanto richiedeva il prestigio del loro lignaggio.
Numerose lettere autografe e atti storici attestano come tutti
i successori di Jacopo I, sia in linea diretta che collaterale,
si siano meticolosamente proclamati della casa "d'Appiano",
o al limite "Appiano", aggiungendo al proprio onomastico,
da Jacopo III in avanti, il secondo gentilizio "d'Aragona",
ereditato dallo stesso Jacopo III per nascita dalla madre, Donna
Colia d'Aragona; quindi, troveremo sempre i Signori di Piombino,
loro rampolli e discen-denti proclamarsi rigorosamente: "d'Aragona
d'Appiano", "Aragona d'Appiano", "Appiano
d'Aragona" oppure "Aragona Appiano".
Nella corrispondenza vergata via via dai propri segretari, Jacopo
VI firmava abitudinariamente in calce con autografo decifrabile
all'incirca come «Il S.re di Piombino», o forse meglio
«Il Si.r di Piom-bino», mentre la formula convenzionale
della chiusa epistolare di Alessandro I, figlio di costui, il
giovane Signore assassinato a fine Cinquecento, era l'annotazione
di suo pugno «Per farvi piacer» con firma «Aless:o
Arag:na d'App:o». Con semplice abbreviazione si sot-toscriveva
invece la figlia di Alessandro, Isabella: «Isab.a P.a di
Piomb.o»; mentre il figlio, Jacopo VII, nei pochi anni
che ebbe pos-sibilità di sottoscriversi, poté fregiarsi
del titolo di Principe conferitogli dall'imperatore: «Il
Prencipe di Piombino».
Chi si è avvalso dell'improprio nome di famiglia "Appiani",
dopo alcuni storici antecedenti come Galluzzi e Cesaretti, è
stato Licurgo Cappelletti, che ne ha fatto uso costante, ingenerando
così un filone ininterrotto in molta successiva storiografia.
Come riflesso in ambito culturale in senso lato, si veda l'intitolazione
di primo Novecento della via "Emanuele Appiani" a Piombino.
Premessa questa puntualizzazione, occorre sbarazzare il cam-po
dall'inesattezza di una data ritenuta irrefutabile e diffusa
anch'essa in opuscoli e mass media: il 1529, come anno di nascita
di Jacopo VI d'Aragona d'Appiano, Signore di Piombino e onoratissimo
ammiraglio delle galee del Duca di Toscana. Presso l'Archivio
di Stato di Firenze (A.S.F.), fondo Principato di Piombino, Miscellanea,
F. 643-643 bis, esiste un inserto di documenti su cui un archivista
annotò l'esatezza della data, il 1532:
«Costituto di testimoni sopra la
nascita di Jacopo VI d'Appiano seguita nel di 8 febbrajo 1532,
nella quale circostanza furono istituite in quel giorno le Ferie
Piombinesi»
Detto inserto, tuttavia, contiene solo atti del 24 novembre 1562
riferibili alla Rota Genuensis e vertenti su di una lite sorta
in Genova proprio col Signore di Piombino: «quedam lis
inter Joannem Andream Casinellum», procuratore di Negrone
di Negro, appartenente ad una delle più antiche e nobili
famiglie genovesi, e «Petrum Andream de Rocataliata uti
procuratorem Ill.mi D.ni Jacobi sexti de Aragonio de Apiano Plumbini
Domini». Di fatto, nessun documento specifico ine-rente
alla nascita del Signore trovasi all'interno del citato inserto
e dell'intera filza. Oltre alla predetta rettifica della data
storica, altre ne troveremo nel prosieguo della lettura.
La presente ricerca archivistica, svolta presso il predetto Archivio
di Stato fiorentino, è incentrata essenzialmente sulla
cono-scenza delle figure mai indagate documentalmente di Alessandro
Aragona d'Appiano e dei suoi congiunti, mediante il supporto
delle lettere che hanno lasciato: il padre, Jacopo VI, la presunta
madre, Virginia Fieschi, la moglie, Isabel de Mendoza, la figlia,
Isabella, il suocero, Jorge de Mendoza, lo zio, Alfonso. Altre
figure di contorno contribuiscono alla rievocazione dei personaggi
suddetti e dell'atmosfera storica. Lo stimolo iniziale e l'intento
prioritario dell'esplorazione erano far luce sulla vita di Don
Alessandro, giovane Principe sventurato, in riferimento al suo
efferato assassinio avvenuto nel 1589, a Piombino, ad opera di
congiurati di una individuata cerchia oligarchica cittadina.
La storiografia corrente, ormai consolidata e sclerotizzata,
accusa il Principe di tirannide e libertinaggio, basandosi su
scarna o nessuna documentazione, inesistenti approfondimenti
storici ed un ricco coacervo di fantasticherie, aneddoti e stravaganze,
frutto di fervida immaginazione; purtuttavia, come lo si vedrà
nel seguito della lettura, l'esame del fondo archivistico oggetto
d'indagine squarcia un velo sull'intimità del giovane
Signore, da cui egli ne esce personaggio più che rispettabile,
diversamente da come tanta letteratura ne abbia arbitrariamente
coltivato l'immagine di indiscussa abiezione; poco o niente,
di fatto, emerge, invece, sugli intrighi dei cospiratori e sui
moventi dell'uccisione, in merito ai quali, lo dicevamo, diversi
scrittori si sono tanto sbizzarriti a lavorare di fantasia. Da
siffatta consapevolezza, l'uccisione del giovane Signore risulta
pertanto delitto ancor più vitu-perevole.
Infatti, Don Alessandro, stando alla corrispondenza che lo riguardava
pubblicata nelle pagine successive, appare un soggetto razionale
e sensibile, sufficientemente colto, amante della musica e della
poesia, appassionato di animali, dotato di senso di umanità
e responsabilità, tutt'altro che dispotico, e per questo
apprezzato, sem-bra, dalle autorità comunitative piombinesi.
Tenuto conto di tutto ciò, sono da rigettare i presunti
episodi di vita propalati sui suoi com-portamenti licenziosi,
che lo avrebbero portato a inseguire osses-sivamente fra le strade
di città certe sue infatuazioni. Se, inoltre, prestassimo
fede al suo presunto dispotismo ferreo, perché non attri-buirgli
la tracotanza di perseguire i soprusi semplicemente brigando
nel segreto della propria Cittadella? Diverse opere letterarie,
così come il "Duca di Mantova" del melodramma
verdiano, ci danno una esemplificazione dello strapotere accampato
dai dominatori, suoi pari, nel Cinquecento. Nelle strade cittadine,
invece, egli passeggiava tran-quillamente per suo diporto e vi
fu barbaramente trucidato, cadendo vittima di losche trame.
Alla luce delle risultanze archivistiche, bisognerà riscrivere
alcune pagine di storia piombinese che non rispondono alla realtà
dei fatti, poiché certe ricostruzioni e conclusioni storiche
acquisite non convincono affatto. Si dovrà pure tenere
conto che Alessandro ha vissuto alternativamente a Piombino,
non abitando continuativamente, quindi, la sua Cittadella, perché,
esattamente come aveva fatto il padre, usava spostarsi di frequente
in diversi luoghi del suo dominio o della Toscana, secondo le
ragion di Stato o di forza maggiore che lo richiamavano. È
innegabile, ad ogni modo, che i presunti amori adul-terini di
Alessandro, come del resto il flirt della moglie Isabella con
il governatore del presidio spagnolo, si prestano a riconoscersi
come ingredienti fantastici di una classica novella rinascimentale
a tinte fosche... CONTINUA |
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ANTICHI ORDINI MENDICANTI A PIOMBINO. Gli Agostiniani
Piombinesi, Piombino Francescana
Nedo Tavera
pp. 120 ill. f.to 17x 24 anno 2024 15,00
EAN 9788866152781
Collana Biblioteca di Storia n. 46
E' IN LIBRERIA |
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ANTICHI ORDINI MENDICANTI A PIOMBINO.
GLI AGOSTINIANI PIOMBINESI, PIOMBINO FRANCESCANA |
Le prime manifestazioni del monachesimo
cristiano si ebbero in Egitto, in Palestina e in Siria verso
la fine del III secolo. I precursori, o pionieri, del movimento
monastico furono dunque gli eremiti del deserto, in massima parte
laici, e non sacerdoti, dediti alla pratica ascetica in piena
solitudine e che, in un secondo momento, troviamo sempre più
spesso orientati a vivere in comunità organizzate fra
elementi con attitudini al medesimo stile di vita.
Venne ad instaurarsi così, nel corso del IV secolo, accanto
al genere di vita eremitica, sempre meno praticato nei secoli
avvenire, il genere distinto di vita cenobitica, che tanto seguito
avrà invece in futuro. Difatti, l'esperienza monastica
cristiana orientale si trasmise abbastanza presto, per varie
vie, all'Occidente ed all'Italia. Grandi artefici ne furono,
ad esempio, Sant'Atanasio, Sant'Ilario di Poitiers, San Martino
di Tours, San Girolamo ed inoltre, in tempi successivi, San Benedetto
da Norcia, proclamato padre del monachesimo occidentale, con
i suoi primitivi nuclei cenobitici, dai quali sono discese, lungo
i secoli, numerose Congregazioni di Monaci e di Monache Benedettini.
Un'antica tradizione eremitica e cenobitica
vanta anche il Promontorio di Piombino e sue propaggini, nonché
le isole del prospiciente Arcipelago. Basti pensare ai primi
Santi Vescovi populoniesi, a San Mamiliano ed ai Monaci di Montecristo,
in virtù dei quali è sorta la celebre leggenda
del tesoro isolano; oppure alle potenti Abbazie benedettine di
San Giustiniano di Falesia e di San Quirico, a San Guglielmo
e suoi Eremiti di Malavalle, località della zona compresa
fra Pian d'Alma e Buriano. Ma le tracce del monachesimo medievale
a Piombino e dintorni non finiscono certo qui: Padre Luigi Torelli,
per primo, pubblicò, oltre tre secoli fa, l'elenco dei
Priori convenuti dai vari Eremi al Capitolo Generale degli Eremiti
Toscani celebrato, nel 1250, nel Romitorio di San Salvatore di
Cascina; elenco in cui compaiono nomi di luoghi ricompresi nel
territorio piombinese, due dei quali in modo particolarmente
diretto: alludiamo a queste località: Palmaiola,
ma soprattutto Falcone: «In quest'Anno
medesimo [1250] fù celebrato un Capitolo generale dell'Ordine,
ò Congregatione della Toscana nel Convento di S. Salvatore
di Cascina vicino à Pisa
È nota l'importanza che i centri
francescani piombinesi assumevano un tempo nel contesto regionale:
fino dal suo nascere, dal secolo XIII, l'Ordine Francescano ebbe
«in Maremma i Conventi di Massa, di Piombino, di Grosseto,
di Castiglion della Pescaia, di Suvereto, e un poco più
tardi quello di Montieri, che costituivano la settima Custodia
della Provincia di Toscana, la cosiddetta Custodia Maritima,
nonché í due Monasteri di Monache, pure francescane,
o Clarisse, quelli cioè di Massa e di Piombino. A tutti
questi nel 400-500 sono da aggiungere i Conventi presi dai Francescani
dell'Osservanza [...] un secondo cioè in Massa e un altro
in Grosseto, con gli altri di Radicondoli, di Scarlino, di S.
Benedetto della Nave, di Scansano, e, in certo modo, quello primitivo
di S. Cerbone, e poi quello di Portoferraio della vicina Isola
d'Elba, e l'altro monastero di Monache Osservanti di Piombino;
come pure sono da aggiungere i Conventi presi in questo medesimo
tempo dai Conventuali, e cioè quelli di Campiglia, di
S. Bernardino al Pavone a S. Dalmazio, vicino a Pomarance, e
di S. Giusto di Castagneto»1. Ai Conventi maschili della
Custodia di Maremma si aggiungeranno ancora quelli di «Rosignano
- Manciano - Caparbio Pitigliano»2. |
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PIOMBINO SIDERURGIA E URBANISTICA NEL PERIODO
FILOSOVIETICO (1946-1989)
Nedo Tavera
pp. 88 ill. f.to 17x 24 anno 2023 11,00
EAN 9788866152613
Collana Biblioteca di Storia n. 42 |
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PIOMBINO SIDERURGIA E URBANISTICA NEL
PERIODO FILOSOVIETICO (1946- 1989) |
Nel 1900 Piombino aveva settemilaseicentonovantasei
abitanti e duecentocinquanta operai; nel 1913 ventunomilatrentacinque
abitanti e duemilaquattrocento operai; nel 1962 si giungeva a
circa trentaseimila abitanti di cui cinquemila impegnati nel
lavoro dell'Italsider, ormai unico grande protagonista della
zona. A questa avanzata in ogni dimensione non corrispondeva
un adeguato sviluppo topografico della cittadina anzi vi difettava
tutta quella serie di infrastrutture e di attività secondarie
e collaterali che avrebbero potuto trasformare Piombino in una
città organicamente perfetta e, ci sia concesso dirlo,
al limite ideale di una funzionale modernità. [...].
Se le attività secondarie e terziarie non avranno uno
sviluppo, Piombino nel 1966 sarà sì la sede del
più grande stabilimento dell'Italsider e uno dei più
grandi d'Europa, porterà la produzione di acciaio a due
milioni di tonnellate, aumenterà sensibilmente il numero
dei dipendenti dell'organico attuale, realizzerà nuovi
impianti come un laminatoio blooming, un treno per billette,
un treno per nastri stretti e uno per profilati piccoli, continuerà
a spedire rotaie in ogni parte del mondo, ma potrebbe restare
schiacciata dal suo medesimo sviluppo e trasformarsi in una città
dormitorio.
Domenico Rea (1963)
Indice
La tradizione siderurgica..........................................................................
7
La Piombino rossa....................................................................................
17
Il colosso Italsider e lo stravolgimento stradale
urbano........................ 31
Attuazione della ristrutturazione viaria extraurbana.................................55
Il pendolarismo abnorme sullo stabilimento.............................................61
L'urbanistica degli anni '70-'80.................................................................67
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EAN 9788866152507
DA S. CERBONE A ELISA BONAPARTE. LE PIU' AVVINCENTI PAGINE DELLA
STORIA DI PIOMBINO
Nedo Tavera Ill. B/n f.to 17x24
pp. 174 anno 2023 15,00
Collana Biblioteca di Storia n. 40 |
Nedo Tavera è nato a Piombino nel 1939 ed ha conseguito
il diploma di geometra a Pisa, titolo col quale ha iniziato il
percorso professionale in seno alla Società Italsider-Ilva
nel 1962, interrompendo gli studi universitari. Da molti anni
vive a Firenze. Ha pubblicato numerose opere:
L'ascesa di Piombino al declino della Repubblica di Pisa
1978, Giuntina; Elisa Bonaparte Baciocchi principessa di
Piombino 1982, Giuntina; L'antica Accademia dei Ravvivati,
i teatri e il carnevale di Piombino 2005, Ed. Saffe; La
Santa Vergine nella devozione piombinese attraverso i secoli
1991, Giorgi & Gambi; Piombino francescana 1994
Giorgi & Gambi; Piombino napoleonica, 1805-1814 : il
principato dei Baciocchi (coautore Brunello Creatini),
Giorgi & Gambi 1996; Gli agostiniani piombinesi: un
documento inedito del Seicento sui frati agostiniani e l'odierna
Abbazia concattedrale di Piombino 1997, Giorgi & Gambi;
San Paolo della Croce e le Clarisse piombinesi 1999,
Giorgi & Gambi; Il SS. Crocifisso miracoloso e la Misericordia
di Piombino 2005, Con-fraternita della Misericordia Piombino;
Da Populonia a Piombino: breve storia della chiesa piombinese
2008, Saffe.
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Da S. CERBONE
a ELISA BONAPARTE Le piu' avvincenti pagine della grande storia
di Piombino |
«La storia è una scienza sociale, e la sua evoluzione,
come in ogni altra scienza, avviene soltanto attraverso la ricerca.
Come l'astronomo è lo scienziato che non contempla solo
il firmamento, ma esplora oltre il conosciuto e scioglie i misteri
dell'universo, così il ricercatore indaga le fonti inedite
e va oltre il sapere scientifico noto degli avvenimenti trascorsi,
allargando l'orizzonte storiografico di uno specifico ambito.»
E Nedo Tavera seguendo questo filo logico si avventura di nuovo
nel passato di quello che fu fino all'Ottocento uno stato indipendente
e assurto a Principato con decreto imperiale.
Piombino ha tante storie ancora da raccontare e da scoprire per
recuperare il passato di questo che fu uno degli Stati più
desiderati dalle grande potenze, Spagna, Francia, per dominare
le rotte commerciali e divenire base per le loro conquiste territoriali.
Piombino ha visto passare sul suo territorio grandi personaggi
e artisti, come Rosso Fiorentino, Machiavelli, Leonardo da Vinci
che hanno lasciato il loro segno e opere di cui purtroppo molte
sono state trafugate o vendute, così come gli archivi
della città di cui oggi ne conserviamo solo una parte,
e che sono sparsi in vari luoghi del mondo. San
Cerbone fu uno dei primi Vescovi populoniesi, poi proclamato
Patrono della Diocesi di Massa e Populonia, la quale si denomina,
oggi, di Massa Marittima-Piombino. Per celebrare suggestivamente
la solennità del Santo, il 10 di ottobre, gli "Amici
di Populonia", con l'ausilio di altre associazioni culturali
ed il patrocinio del Comune di Piombino, idearono, anni or sono,
una "Luminaria" da effettuarsi nei luoghi cari all'antico
e venerato Presule: splendida rievocazione, che ha continuato
a svolgersi annualmente nella detta ricorrenza, all'imbrunire,
nel golfo di Baratti, e che vuol far idealmente rivivere il primo
ingresso di Cerbone a Populonia, nella terra di cui è
stato Vescovo, come anche il suo ritorno dall'Elba dopo la morte.
Si può parlare di un rito sacro, presente il benedicente
Vescovo diocesano odierno, per cui le reliquie di Cerbone giungono
via mare sulla terraferma scortate da una processione di barche
silenziose e solennemente illuminate. San Cerbone: un Vescovo
di Populonia storicamente documentato e contemplato nel Martirologio
Romano, ed il quarto o quinto della serie, stando alla cronotassi
accreditata dalla leggenda o dagli eruditi del passato, ma ai
primissimi posti nella cronotassi storica ufficiale. In proposito,
scriveva Gabriella Garzella (2005):
«Oscure rimangono comunque le origini della diocesi come
pure segnata da lacune profonde ed incolmabili risulta la sua
lista episcopale prima del Mille, faticosamente da me ricostruita
in altra sede sulla base di una documentazione davvero avara
di notizie autentiche e provvedendo, viceversa, a sfrondarla
dei dati fantasiosi utilizzati per inserire nuovi nomi in un
elenco punteggiato da troppi vuoti».
L'anno esatto in cui Cerbone salì sulla cattedra episcopale
di Populonia è ignoto, sappiamo, invece, che egli dovette
rifugiarsi all'Elba, dove peraltro morì, per sfuggire
alla persecuzione scatenata dai Longobardi, circa l'anno 575.
Proprio prima di morire, però, il Santo Vescovo si raccomandò
ai confratelli che lo avevano seguito, anch'essi fuggitivi, di
essere inumato nella tomba da lui stesso predisposta presso la
Cattedrale populoniese di Santa Maria, oggi scomparsa e della
quale tuttora non sono state ritrovate le fondamenta. segue nel libro... |
INDICE
San Cerbone vescovo di Populonia e patrono della diocesi di
Massa Marittima-Piombino..................................................................................7
San Fiorenzo: figura controversa..............................................................13
La scomparsa Abbazia di San Giustiniano di Falesia...............................17
L'antico Capodanno piombinese...............................................................22
Jacopo I D'Appiano, il figlio Gherardo e lo stato di Piombino.................27
Jacopo II D'Appiano, l'attacco a Firenze e lo scandalo a Corte................32
Caterina D'Appiano, Rinaldo Orsini e l'assedio di Piombino del
1448....37
Jacopo III D'Aragona D'Appiano. Il Rinascimento artistico e l'assalto
a Piombino del Duca di Milano...................................................................47
Jacopo IV D'Aragona D'Appiano e l'occupazione dei Borgia dello
Stato di Piombino...............................................................................................59
Jacopo V D'Aragona D'Appiano, le incursioni ottomane e la ripresa
della grande stagione artistica piombinese...............................................64
La sovranità Medicea su Piombino, Jacopo VI D'Aragona
D'Appiano, il suo esilio a Genova e la ribellione dei Piombinesi...................................77
Alessandro I D'Aragona D'Appiano, lo stretto legame con Genova
e l'esilio, la congiura fatale e le due principesse Isabella.........................87
Jacopo VII D'Aragona D'Appiano, l'esodo da Piombino, la dimora
genovese e il Principato Imperiale............................................................99
Gli ultimi D'Aragona D'Appiano. La peste manzoniana, Niccolò
Ludovisi e l'occupazione Francese di Piombino.......................................102
Giovan Battista Ludovisi principe rivitalizzatore dello Stato
e la sorella principessa Ippolita...................................................................................110
Eleonora Boncompagni Ludovisi e le rimostranze degli anziani
piombinesi.................................................................................................116
Gaetano Antonio e Luigi Boncompagni Ludovisi, San Paolo della
Croce e le Clarisse piombinesi..................................................................121
I principi di Piombino e la Chiesa dai D'Appiano ai Baciocchi...............128
Elisa Bonaparte e la sua Corte nella Reggia di Piombino........................138
Il convento di San Giovanni di Dio: da Jacopo VI ad Elisa Bonaparte....150
L'antica chiesa scomparsa di Santa Maria................................................155
Il Duomo di Piombino al tempo di Elisa Bonaparte.................................158
Bibliografia...............................................................................................163 |
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LA SANTA VERGINE NELLA DEVOZIONE PIOMBINESE ATTRAVERSO
I SECOLI. Piombino: disegno storico della città
Nedo Tavera
pp. 138 anno 2021 15,00 ill. colori e B/n
EAN 9788866152323
Collana Biblioteca di Storia n. 32 |
Nedo Tavera è nato a Piombino nel 1939 ed ha conseguito
il diploma di geometra a Pisa, titolo col quale ha iniziato il
percorso professionale in seno alla Società Italsider-Ilva
nel 1962, interrompendo gli studi universitari. Da molti anni
vive a Firenze. Ha pubblicato numerose opere:
L'ascesa di Piombino al declino della Repubblica di Pisa
1978, Giuntina; Elisa Bonaparte Baciocchi principessa di
Piombino 1982, Giuntina; L'antica Accademia dei Ravvivati,
i teatri e il carnevale di Piombino 2005, Ed. Saffe; La
Santa Vergine nella devozione piombinese attraverso i secoli
1991, Giorgi & Gambi; Piombino francescana 1994
Giorgi & Gambi; Piombino napoleonica, 1805-1814 : il
principato dei Baciocchi (coautore Brunello Creatini),
Giorgi & Gambi 1996; Gli agostiniani piombinesi: un
documento inedito del Seicento sui frati agostiniani e l'odierna
Abbazia concattedrale di Piombino 1997, Giorgi & Gambi;
San Paolo della Croce e le Clarisse piombinesi 1999,
Giorgi & Gambi; Il SS. Crocifisso miracoloso e la Misericordia
di Piombino 2005, Con-fraternita della Misericordia Piombino;
Da Populonia a Piombino: breve storia della chiesa piombinese
2008, Saffe.
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LA SANTA VERGINE
NELLA DEVOZIONE PIOMBINESE ATTRAVERSO I SECOLI. Piombino: disegno
storico della citta' |
NOTA DELL'AUTORE
a trent'anni esatti dalla pubblicazione de La Santa Vergine nella
Devozione Piombinese Attraverso i Secoli mi piace riproporne
la ristampa aggiungendovi il seguente sottotitolo: Piombino:
Disegno Storico della Città. Perché tale aggiunta?
Semplicemente per il fatto che alcuni di coloro che hanno letto
il libro con interesse e discernimento mi hanno significato di
aver trovato "riduttivo" il titolo originario. significato
di aver trovato "riduttivo" il titolo originario.
A Un'osservazione che non mi è dispiaciuta, ma che, anzi,
mi ha fatto piacere e che, francamente, posso condividere. Come
non riconoscerne la validità dal momento che le vicende
locali analizzate diacronicamente ed afferenti allo scenario
religioso cittadino s'innestano con quelle di storia civile urbana,
che talvolta le sovrasta? In altre parole, il lavoro sarebbe
giudicato una monografia sul passato ecclesiastico di Piombino,
e sull'accentuata devozione popolare alla Santa Vergine, tutta
intrecciata, però, con spaccati di vissuto ordinario in
una sorta di disegno storico sui generis della città.
Un secondo motivo che mi ha indotto alla ristampa, devo dire
brevemente, è che la sostanza del libro è frutto
di ricerche archivistiche, le quali non perdono mai d'importanza,
e qui, in alcune parti, restano degli interrogativi da sciogliere
e da definire. Parlo, in particolare, della mitica antichissima
Abbazia di San Giustiniano di Falesia, scomparsa, la cui ubicazione
ignota io ritengo di avere individuato e che discorda dalla proposta
alternativa della Prof. Maria Luisa Ceccarelli Lemut; rimane,
altresì, ancora in sospeso l'ultima parola sull'Autore
della Madonna del Latte della Sala Consiliare del Palazzo Civico;
Autore che io riconosco nel pittore piombinese Giovanni Maria
Tacci, vissuto nel Cinquecento, riscontrando, tuttavia, diverso
parere della Dott. Antonia D'Aniello.
È appena il caso di rimarcare che, se il Tacci non ha
creato ex novo l'immagine della Vergine di Falesia, perché
già esistente, ma molto rovinata dal tempo, egli fu comunque
chiamato a restaurarla dai Padri Anziani, come provato dalle
fonti, nel 1575, e adottò inevitabilmente gli antichi
e superati criteri di integrazione rimasti in auge fino ai primi
decenni del Novecento, nel
recupero e nella conservazione delle opere d'arte. Pertanto,
Giovanni Maria Tacci ha completato la ridipintura dell'immagine
sacra della Sala Consiliare riproducendo le linee iconografiche
del modello e assumendone la paternità, perplessità
è destata nel constatare la mancanza degli ornamenti della
Madonna e del Bambino, come il diadema, che sono enunciati nell'incarico
dato al pittore. Allo stato dei fatti, non si vede come questa
Madonna del Latte possa essere attribuita all'artista originario
che la realizzò nel Quattrocento; oltretutto alla ridipintura
del Tacci se ne sono sommate successivamente altre. Quantomeno,
un'analisi storica, non soltanto estetica, del dipinto non può
prescindere dall'ipotesi che la mano del pittore ultimo della
Vergine sia quella di Jacopo Mellini, anch'egli piombinese. Infatti,
a lui espressamente gli Anziani chiesero, nel 1780, di dipingere
l'Immagine di Maria SS.ma di Faliegi nel Palazzo Pubblico, ovviamente
raffigurandola con la necessaria arcaicità; e negli ambienti
comunali non è emerso altro antico affresco di genere
sacro che quello della Madonna del Latte in Sala Consiliare.
Con analogia tematica, qualche parola bisognerà spenderla
sulla superficialità critica con cui sono stati valutati
fino ad oggi i capolavori rinascimentali piombinesi, per cui
occupandosi storiograficamente di essi si è incorsi, me
compreso, nella divulgazione di assunti assolutamente opinabili
e privi di fondamento documentario quanto all'attribuzione complessiva
di quei capolavori al genio unico di Andrea Guardi. Tutto ciò
è conseguenza del giudizio critico soggettivo basato su
semplici comparazioni e affinità stilistiche fra opere
d'arte coeve. Ma non sappiamo se Andrea Guardi sia stato mai
a Piombino, perché nessun documento lo ha provato, mentre
scavando negli archivi si stanno affacciando altre personalità
artistiche che hanno realmente operato nel Quattrocento in città.
Pertanto, non è dichiarabile la certezza d'autore relativamente
alla Chiesa e al Puteale di Cittadella, nonché al Chiostro
di Sant'Antimo e ad altre sculture dell'epoca.
Un altro interrogativo insoluto, molto avvincente. riguarda il
sito e le tracce introvabili di Santa Maria di Populonia, ossia
l'Ecclesia Mater, Battesimale e Cattedrale connessa alla vitalità
diocesana medievale, alla storia di San Cerbone, Patrono della
Diocesi, e degli altri Vescovi populoniesi. A suggestive e illusorie
conclusioni conduceva la prospettiva adombrata nel Settecento
da Agostino Cesaretti, il quale lasciava intravedere nell'Abbazia
di Santa Maria e San Quirico la Chiesa Matrice: non certamente
l'originaria tardoantica, ma una ipotetica e isolata dei secoli
del lungo declino di Populonia, segnati dalla disastrosa incursione
saracena dell'809, dall'insicurezza per l'Episcopio e dai Vescovi
erranti in cerca di asilo sicuro. Come poi avvenne, si ebbe la
traslazione della sede episcopale nell'entroterra, in Val di
Cornia e infine a Massa Marittima. Ma non sembra del tutto casuale
rinvenire alcuni coincidenti legami, intorno al Mille, fra la
sede episcopale e l'Abbazia di San Quirico populoniesi, non soltanto
nella pur significativa cotitolazione a Santa Maria, corrispondente
a quella della Ecclesia Mater, ma anche in risvolti di natura
patrimoniale. Stando alla scarsa documentazione archivistica
disponibile, l'istituzione della comunità eremitico-monastica
di San Quirico viene collocata ai primi decenni del secolo XI;
le recenti ricerche hanno riportato alla luce i resti materiali
del complesso sacro, del quale, tuttavia, non ne è stata
definita la configurazione altomedievale, che viene presunta
riferibile, cautelativamente, a non oltre il secolo X. Per quanto
riguarda, invece, la Cattedrale di Santa Maria resta ancora un
mistero la sua ubicazione, poiché le diverse campagne
di scavo e di indagini archeologiche, condotte fra Baratti e
Populonia da varie Università degli Studi, non hanno dato
l'esito sperato.
In definitiva, ciò che può giustificare la ristampa
di un libro di storia locale, dal taglio insolitamente religioso,
sono proprio le risultanze archivistiche che danno risalto alle
mutazioni apportate nella società locale nei secoli passati
e specialmente durante il regno di Elisa Bonaparte, che enorme
importanza ha avuto nell'Ottocento piombinese, costituendo le
premesse della società attuale. |
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L'ASCESA DI PIOMBINO AL DECLINO DELLA REPUBBLICA
DI PISA
Nedo Tavera
pp. 90 anno 2021 15,00 ill. colori e B/n
EAN 9788866152408
Collana Biblioteca di Storia n. 34 |
Nedo Tavera è nato a Piombino nel 1939 ed ha conseguito
il diploma di geometra a Pisa, titolo col quale ha iniziato il
percorso professionale in seno alla Società Italsider-Ilva
nel 1962, interrompendo gli studi universitari. Da molti anni
vive a Firenze. Ha pubblicato numerose opere:
L'ascesa di Piombino al declino della Repubblica di Pisa
1978, Giuntina; Elisa Bonaparte Baciocchi principessa di
Piombino 1982, Giuntina; L'antica Accademia dei Ravvivati,
i teatri e il carnevale di Piombino 2005, Ed. Saffe; La
Santa Vergine nella devozione piombinese attraverso i secoli
1991, Giorgi & Gambi; Piombino francescana 1994
Giorgi & Gambi; Piombino napoleonica, 1805-1814 : il
principato dei Baciocchi (coautore Brunello Creatini),
Giorgi & Gambi 1996; Gli agostiniani piombinesi: un
documento inedito del Seicento sui frati agostiniani e l'odierna
Abbazia concattedrale di Piombino 1997, Giorgi & Gambi;
San Paolo della Croce e le Clarisse piombinesi 1999,
Giorgi & Gambi; Il SS. Crocifisso miracoloso e la Misericordia
di Piombino 2005, Con-fraternita della Misericordia Piombino;
Da Populonia a Piombino: breve storia della chiesa piombinese
2008, Saffe.
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L'ASCESA
DI PIOMBINO AL DECLINO DELLA REPUBBLICA DI PISA |
NOTA DELL'AUTORE
a trent'anni esatti dalla pubblicazione de La Santa Vergine nella
Devozione Piombinese Attraverso i Secoli mi piace riproporne
la ristampa aggiungendovi il seguente sottotitolo: Piombino:
Disegno Storico della Città. Perché tale aggiunta?
Semplicemente per il fatto che alcuni di coloro che hanno letto
il libro con interesse e discernimento mi hanno significato di
aver trovato "riduttivo" il titolo originario. significato
di aver trovato "riduttivo" il titolo originario.
A Un'osservazione che non mi è dispiaciuta, ma che, anzi,
mi ha fatto piacere e che, francamente, posso condividere. Come
non riconoscerne la validità dal momento che le vicende
locali analizzate diacronicamente ed afferenti allo scenario
religioso cittadino s'innestano con quelle di storia civile urbana,
che talvolta le sovrasta? In altre parole, il lavoro sarebbe
giudicato una monografia sul passato ecclesiastico di Piombino,
e sull'accentuata devozione popolare alla Santa Vergine, tutta
intrecciata, però, con spaccati di vissuto ordinario in
una sorta di disegno storico sui generis della città.
Un secondo motivo che mi ha indotto alla ristampa, devo dire
brevemente, è che la sostanza del libro è frutto
di ricerche archivistiche, le quali non perdono mai d'importanza,
e qui, in alcune parti, restano degli interrogativi da sciogliere
e da definire. Parlo, in particolare, della mitica antichissima
Abbazia di San Giustiniano di Falesia, scomparsa, la cui ubicazione
ignota io ritengo di avere individuato e che discorda dalla proposta
alternativa della Prof. Maria Luisa Ceccarelli Lemut; rimane,
altresì, ancora in sospeso l'ultima parola sull'Autore
della Madonna del Latte della Sala Consiliare del Palazzo Civico;
Autore che io riconosco nel pittore piombinese Giovanni Maria
Tacci, vissuto nel Cinquecento, riscontrando, tuttavia, diverso
parere della Dott. Antonia D'Aniello.
È appena il caso di rimarcare che, se il Tacci non ha
creato ex novo l'immagine della Vergine di Falesia, perché
già esistente, ma molto rovinata dal tempo, egli fu comunque
chiamato a restaurarla dai Padri Anziani, come provato dalle
fonti, nel 1575, e adottò inevitabilmente gli antichi
e superati criteri di integrazione rimasti in auge fino ai primi
decenni del Novecento, nel recupero e nella conservazione delle
opere d'arte. Pertanto, Giovanni Maria Tacci ha completato la
ridipintura dell'immagine sacra della Sala Consiliare riproducendo
le linee iconografiche del modello e assumendone la paternità,
perplessità è destata nel constatare la mancanza
degli ornamenti della Madonna e del Bambino, come il diadema,
che sono enunciati nell'incarico dato al pittore. Allo stato
dei fatti, non si vede come questa Madonna del Latte possa essere
attribuita all'artista originario che la realizzò nel
Quattrocento; oltretutto alla ridipintura del Tacci se ne sono
sommate successivamente altre. Quantomeno, un'analisi storica,
non soltanto estetica, del dipinto non può prescindere
dall'ipotesi che la mano del pittore ultimo della Vergine sia
quella di Jacopo Mellini, anch'egli piombinese. Infatti, a lui
espressamente gli Anziani chiesero, nel 1780, di dipingere l'Immagine
di Maria SS.ma di Faliegi nel Palazzo Pubblico, ovviamente raffigurandola
con la necessaria arcaicità; e negli ambienti comunali
non è emerso altro antico affresco di genere sacro che
quello della Madonna del Latte in Sala Consiliare.
Con analogia tematica, qualche parola bisognerà spenderla
sulla superficialità critica con cui sono stati valutati
fino ad oggi i capolavori rinascimentali piombinesi, per cui
occupandosi storiograficamente di essi si è incorsi, me
compreso, nella divulgazione di assunti assolutamente opinabili
e privi di fondamento documentario quanto all'attribuzione complessiva
di quei capolavori al genio unico di Andrea Guardi. Tutto ciò
è conseguenza del giudizio critico soggettivo basato su
semplici comparazioni e affinità stilistiche fra opere
d'arte coeve. Ma non sappiamo se Andrea Guardi sia stato mai
a Piombino, perché nessun documento lo ha provato, mentre
scavando negli archivi si stanno affacciando altre personalità
artistiche che hanno realmente operato nel Quattrocento in città.
Pertanto, non è dichiarabile la certezza d'autore relativamente
alla Chiesa e al Puteale di Cittadella, nonché al Chiostro
di Sant'Antimo e ad altre sculture dell'epoca.
Un altro interrogativo insoluto, molto avvincente. riguarda il
sito e le tracce introvabili di Santa Maria di Populonia, ossia
l'Ecclesia Mater, Battesimale e Cattedrale connessa alla vitalità
diocesana medievale, alla storia di San Cerbone, Patrono della
Diocesi, e degli altri Vescovi populoniesi. A suggestive e illusorie
conclusioni conduceva la prospettiva adombrata nel Settecento
da Agostino Cesaretti, il quale lasciava intravedere nell'Abbazia
di Santa Maria e San Quirico la Chiesa Matrice: non certamente
l'originaria tardoantica, ma una ipotetica e isolata dei secoli
del lungo declino di Populonia, segnati dalla disastrosa incursione
saracena dell'809, dall'insicurezza per l'Episcopio e dai Vescovi
erranti in cerca di asilo sicuro. Come poi avvenne, si ebbe la
traslazione della sede episcopale nell'entroterra, in Val di
Cornia e infine a Massa Marittima. Ma non sembra del tutto casuale
rinvenire alcuni coincidenti legami, intorno al Mille, fra la
sede episcopale e l'Abbazia di San Quirico populoniesi, non soltanto
nella pur significativa cotitolazione a Santa Maria, corrispondente
a quella della Ecclesia Mater, ma anche in risvolti di natura
patrimoniale. Stando alla scarsa documentazione archivistica
disponibile, l'istituzione della comunità eremitico-monastica
di San Quirico viene collocata ai primi decenni del secolo XI;
le recenti ricerche hanno riportato alla luce i resti materiali
del complesso sacro, del quale, tuttavia, non ne è stata
definita la configurazione altomedievale, che viene presunta
riferibile, cautelativamente, a non oltre il secolo X. Per quanto
riguarda, invece, la Cattedrale di Santa Maria resta ancora un
mistero la sua ubicazione, poiché le diverse campagne
di scavo e di indagini archeologiche, condotte fra Baratti e
Populonia da varie Università degli Studi, non hanno dato
l'esito sperato.
In definitiva, ciò che può giustificare la ristampa
di un libro di storia locale, dal taglio insolitamente religioso,
sono proprio le risultanze archivistiche che danno risalto alle
mutazioni apportate nella società locale nei secoli passati
e specialmente durante il regno di Elisa Bonaparte, che enorme
importanza ha avuto nell'Ottocento piombinese, costituendo le
premesse della società attuale. |
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ELISA BONAPARTE BACIOCCHI PRINCIPESSA
DI PIOMBINO |
Nedo Tavera- |
pp. 180 anno 2020
15,00 ill, B/N |
EAN 9788866152132 |
Collana Biblioteca di Storia n. 31 |
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ELISA BONAPARTE BACIOCCHI PRINCIPESSA DI PIOMBINO |
PREMESSA
Dopo la pubblicazione de «L'ascesa di Piombino al declino
della Repubblica di Pisa», faccio volentieri un salto di
qualche secolo nella storia piombinese e passo dall'epoca d'oro,
il Quattrocento, a quella napoleonica: con un po' di retorica,
dall'alba radiosa della Città-Stato ai bagliori del suo
tramonto. Ciò, non perché l'arco di questa storia
statuale non sia, tutto un campo di ricerca semi esplorato su
cui varrebbe la pena indagare a fondo, punto per punto e progressivamente,
ma per il fatto che vi è oggettivamente da considerare
l'epilogo bonapartista come una seconda ascesa
politico-economica e socio-culturale della metropoli di un tempo.
Intendo riferirmi, cioè, soprattutto ai portati pratici
di quell'impulso innovatore, imposto dall'esterno e provocato
da Napoleone, che grande effetto ebbero per la rinascita di Piombino.
Quanto ai riflessi psicologici della dominazione francese, la
città non dovrebbe invece costituire un singolare caso
a sé, ed ha forse ogni aspetto in comune, per grandi linee,
con la Toscana ed il resto dell'Italia napoleonica.
Credo, inoltre, che una maggiore consapevolezza dei fatti accaduti
nel primo Ottocento sia indispensabile, nel Piombinese e altrove,
per chiunque voglia spiegarsi parecchi fenomeni della storia
post-napoleonica e risalire a certe matrici
della cultura contemporanea. Ritengo e spero, infine, che un
contributo alla conoscenza di un momento così significativo
della storia di Piombino risulterà, non solo utile, ma
particolarmente celebrativo per la città [...]
Avanzando nelle ricerche intorno a S.A.I . e R. Elisa, principessa
di Piombino, di Lucca e granduchessa di Toscana, si
arriva facilmente a concludere che gli abitanti della regione
in generale, che fondano parte della loro formazione civile nell'azione
di lei e che sono perfino disposti a rivalutare assai gli antichi
principi della dinastia austriaca, hanno ripagato con eccessiva
indifferenza questa << straniera >>, una còrsa,
tutto sommato, dal cognome toscano.
Ma in realtà non esiste una vera e propria coscienza
in merito a che cosa significò l'era dei Baciocchi; e
bisogna ammettere che essi non sono abbastanza conosciuti, perché
poco, e non di rado a sproposito, se ne è parlato. Allo
stato attuale dei lavori storico-letterari che li riguardano,
soltanto un gruppo esiguo di opere ha requisiti scientifici e
risponde effettivamente allo scopo cui la storiografia deve tendere.
Di conseguenza, occorreranno anni di dedizione affinché
sia colmata la lacuna, vista la varietà delle questioni
da affrontare e la molteplicità degli studi da compiere:
politici, economici, sociali, ecclesiastici, giuridici, artistici,
ecc. |
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EAN 9788866151999
PIOMBINO NAPOLEONICA (1805-1814) IL PRINCIPATO
DEI BACIOCCHI
Nedo Tavera- Brunello Creatini
pp. 168 anno 2019 18,00 ill, B/N
Collana Biblioteca di Storia n. 30
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PIOMBINO NAPOLEONICA (1805-1814)
IL PRINCIPATO DEI BACIOCCHI |
Il 18 marzo 1805, Napoleone Bonaparte donava l'antico Stato
di Piombino, in piena sovranità, alla sorella Elisa (Fig.1),
attribuendo al di lei marito, Felice Baciocchi, il titolo di
Principe dell'Impero. Elisa per prima, tra i fratelli di Napoleone,
ricevette un feudo, sicché appunto da Piombino si aprì
la strada alle investiture imperiali di tutti gli altri Napoleonidi.
Il Principato piombinese mantenne, come succedeva da secoli,
la propria completa autonomia sotto il profilo giuridico, benché,
adesso, fosse palesemente inquadrato in un rapporto di vassallaggio
con la Francia. Alcune branche dell'amministrazione centrale
di esso, come le cancellerie e le segreterie dei regnanti, certi
affari militari e di polizia, finirono ovviamente per essere
cumulate con quelle inerenti al Principato di Lucca, prima, e
al Granducato di Toscana, poi, di cui i Baciocchi, a vario titolo,
conseguirono la sovranità: entrambi i coniugi Principi
di Lucca dal 24 giugno 1805; Elisa Granduchessa di Toscana dal
3 marzo 1809.
A differenza del Principato napoleonico lucchese, che in apparenza
sembrava poggiare su basi sostanzialmente democratiche e che,
richiamandosi alle tradizionali istituzioni repubblicane locali,
vantava una Costituzione, un Consiglio di Stato ed un Senato,
sebbene, questo, senza alcuna funzione effettiva, il Principato
napoleonico piombinese si reggeva su un ordinamento tipico dell'assolutismo
monarchico. Poiché il regime dei Baciocchi fu strettamente
personale, Felice I deteneva in sé il potere legislativo
e, pertanto, emanava leggi e decreti di motuproprio,
demandandone l'attuazione a ministri e funzionari, per lo più
francesi e provenienti dall'esercito. A fianco del Principe,
non residente abitualmente a Piombino, vi era il Segretario di
Gabinetto, suo primo collaboratore, praticamente un segretario
personale che provvedeva a trasmettere ordini e atti ufficiali
ad enti periferici ed agli organi esecutivi. In Piombino, al
vertice di questi ultimi vi furono un Ministro di Stato, il Governatore
Generale e il Prefetto. Tuttavia, l'organizzazione amministrativa
piombinese non fu rigidamente costante nel tempo, né gli
stessi uomini, in linea di massima, durarono a lungo nelle principali
mansioni. Nel Principato napoleonico lucchese l'apparato amministrativo
era strutturato diversamente. A capo degli affari pubblici erano
infatti preposti il Segretario di Stato e i due Ministri di Stato:
uno, il principale, per la Giustizia, incaricato anche dell'Interno,
Esteri, Istruzione, Commercio e Agricoltura; l'altro per le Finanze,
Culto, Polizia, Forza Armata, Acque e Strade e Fabbriche Pubbliche.
Questo secondo dicastero, detto genericamente delle Finanze,
fu soppiantato, nel 1809, da quello del Tesoro, retto da Luigi
Vannucci, già Segretario di Stato.
Compito preminente di Felice Baciocchi era indubbiamente il comando
delle forze armate degli Stati affidatigli, tanto più
che nell'esercizio del potere su Piombino conferitogli dall'Imperatore
era notoriamente coadiuvato da Elisa Bonaparte. I due Principi,
naturalmente, dovevano soggiacere ad una inevitabile dipendenza
dalla Francia; dipendenza che pure era in realtà inferiore,
soprattutto per quanto riguardava Piombino e Lucca, a quella
voluta da certe correnti storiografiche ottocentesche d'Oltralpe,
spesso avverse ai Napoleonidi e non propriamente scientifiche:
«Élisa, grande-duchesse de Toscane, habitait Florence
dans le palais Pitti, au milieu des chefs-d'oeuvre des arts;
ce titre de grande-duchesse de Toscane ne donnait pas à
la princesse Élisa un pouvoir réel; elle avait
à peine l'autorité d'un gouverneur; la Toscane
était soumise au système des préfectures,
à l'organisation directe et immédiate, sous la
main du ministre de l'intérieur; les revenus étaient
versés dans le trésor, les conscríts levés
dans le même ordre, les impôts également perçus.
Élisa mettait ses effigies sur les monnaies, mais sa souveraineté
n'était qu'une vaine image; Napoléon la faisait
surveiller parce qu'elle avait des liaisons intimes avec Fouché
et la partie opposante au système impéríal;
elle rêvait l'indépendance» .
L'inaffidabilità di molti scritti sui Bonaparte, non solo
di vecchi autori, come ben sappiamo, è rimarchevole specie
nel versante dell'aneddotica e del.... continua nel libro
...D'altronde, nel 1805 Elisa aveva appena ventotto anni e,
per quanto abile e intelligente, avrà pur dovuto affidarsi
in qualche modo al più maturo ed esperto marito, quarantatreenne,
cui Napoleone stesso accordò fiducia e addossò
responsabilità non da poco: la titolarità di non
trascurabili regni e, anzitutto, la salvaguardia di importanti
e strategici territori continentali e insulari franco-italiani.
In definitiva, come ben si comprende, «les obligations
des souverains de Piombino envers l'Empereur étaient,
essentiellement, d'ordre militaire: maintenir en bon état
la forteresse de Piombino, favoriser les communications avec
l'ile d'Elbe, assurer la défense des côtes avec
le nombre de batteries d'artillerie nécessaires, entretenir
en permanence un bataíllon de 400 hommes» 3.
Ecco ciò che interessava davvero alla Francia, quale potenza
egemone; ed ecco ciò che pretendeva Napoleone dai Baciocchi
in queste zone militarmente occupate: sostegno all'esercito francese
e adeguata legiferazione locale: ciò che appunto garantiva
Felice I. Il governo degli Stati sottomessi comprendeva anche
altro; ma tutto il resto, nella politica imperiale napoleonica,
veniva dopo. In questa ottica, se è vero che Elisa non
visse all'ombra del Principe suo marito, è altrettanto
vero che questi non regnò affatto in sottordine a lei,
benché essa avesse il privilegio di essere la grande sorella
dell'Imperatore |
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EAN 9788866151890
PER LA PROVINCIA STORICO- INDUSTRIALE DI
PIOMBINO ED ALTRE STORIE
Nedo Tavera 17x24 Ill.
Pagg. 88 anno 2019 12,00
Collana Maremmana n. 11 |
|
PER LA PROVINCIA
STORICO- INDUSTRIALE DI PIOMBINO ED ALTRE STORIE |
PER IL RISVEGLIO DELLA
"LEGGENDA" DI PIOMBINO
Cos'è la "leggenda" piombinese, se non l'ineguagliabile,
straordinaria storia del Promontorio di Piombino, su cui non
molte altre città possono ambire a confrontarsi e ad avere
il primato? Senza retorica, proviamo a fare una brevissima sintesi
di questa ricchezza inestimabile, mai messa a frutto da coloro
che ne avrebbero avuto tutto il vantaggio.
Un destino avverso, inesorabile, come non si è registrato
in nessun'altra illustre città antica, ha piegato Piombino
da circa un paio di secoli in avanti. Un destino nefasto, non
causato da calamità naturali ineluttabili, ma da uomini
che ne hanno causato il decadimento: vuoi determinati nei loro
ostili disegni, vuoi senza idee e, quindi, semplicemente confusi
e incapaci, ma anche uomini sospinti da una sola ideologia.
Dal Congresso di Vienna, dal 1815 ad oggi, Piombino, ex Città-Stato
dell'Italia preunitaria, ha attraversato le seguenti fasi storiche
in una condizione umiliante rispetto al passato: Toscana granducale,
il Regno d'Italia, la rivoluzione industriale, il fascismo, la
seconda guerra mondiale, le amministrazioni del dopoguerra.
Il Principe Luigi Boncompagni Ludovisi, legittimo sovrano del
Principato di Piombino, reclamò inutilmente contro lo
strapotere degli Asburgo Lorena e contro quanto si decideva nel
Congresso di Vienna, che ratificò la soppressione dello
stesso Principato e la sua annessione alla Toscana. Le conseguenze
furono frustranti per l'indifesa città di Piombino, che
subì le ritorsioni del Granduca Ferdinando III, mentre
lo spodestato Boncompagni Ludovisi, che tuttora si fregia del
titolo di Principe di Piombino, fu pienamente indennizzato delle
rendite che perdeva. La grave sanzione inflitta alla città
fu l'emarginazione e la perdita di qualsiasi potere in campo
amministrativo; un arbitrario e punitivo declassamento dalla
sua precedente condizione di città capoluogo.
Nei due secoli trascorsi, Piombino non ha mai reagito al sopruso,
alla penalizzazione; non si è mai difesa, non ne ha trovato
la forza necessaria. Consapevolezza, orgoglio e amore per il
proprio passato sono stati assenti in Piombino per ben due secoli;
ciò che vi ha dominato è stata la non piena cognizione
e l'indifferenza dei propri fasti, della propria storia, i quali,
se non sono un'epopea, formano sicuramente una "leggenda",
anche in senso letterale: "cose da leggere". Che nessuno,
invece, ha mai letto fino a ieri; ragion per cui si è
avverato per Piombino il "presagio" che dice: non si
può costruire il futuro senza conoscere il passato. E
la ultramillenaria essenza storica del Promontorio di Piombino,
il suo indiscutibile mito nei due secoli trascorsi, infatti,
non sono stati tramandati e difesi dallo spirito piombinese,
che è stato sopraffatto dalla imperdonabile dimenticanza,
dalla selvaggia industrializzazione, dalla prepotente e preponderante
ideologia politica. CONTINUA NEL LIBRO
VIA FELICE CAVALLOTTI
Dirò subito che io sono nato a Piombino, in Via Cavallotti,
cresciuto da genitori esemplari e dove ho avuto vicini di casa
fantastici fino all'adolescenza. Via Cavallotti era una strada
qualunque, senza particolari attrattive, se non il pregio di
essere guarnita da bei filari di platani che la impreziosivano.
Durante la mia prima infanzia, viveva nell'appartamento accanto
al mio una splendida famiglia con la quale i miei genitori stabilirono
presto ottimi rapporti. In particolare, la loro figlia, Nelly,
bella signorina, divenne amica intima di mia zia Elsa, sua coetanea
e sorella minore di mia madre, ritiratasi a vivere con noi insieme
ai nonni materni. La Nelly aveva un fratello minore, Edo, il
quale era, anche lui, un simpatico giovanottello. Questi tre
bravi giovani, zia Elsa, Edo e la Nelly, si prodigarono un mondo
a regalarmi affetto e carezze fino a quando le vicende della
guerra non ci allontanarono tutti dalle nostre abitazioni. Fra
i vaghi ricordi del tempo che riaffiorano nella memoria, porto
scolpito nella mente un freddo e buio pomeriggio d'inverno trascorso
nella cucina di casa mia, con il grande focarile acceso e scoppiettante
e le fiamme che riverberavano bagliori rossastri attraverso i
cerchi roventi della piastra. Eravamo fra il Capodanno e la Befana,
e i tre amici di cui sopra si stavano interessando a me, parlandomi
e interrogandomi, catturando, divertendosi, la mia attenzione,
quando fui attirato d'improvviso da una strana sorta di grandine
che cominciò a venir giù dalla cappa del camino.
Che la Befana fosse in anticipo, visto che tanto me ne parlavano?
Io, senza neanche accorgermi che stavano cadendo qua e là
caramelle, cercai subito scampo correndo a rintanarmi fra due
sedie e la parete. Il buon Edo, con la complicità di zia
Elsa e la Nelly, mi stava preparando allegramente all'arrivo
della Vecchietta che vola su una scopa.
Dopo la parentesi della guerra e dello sfollamento, i signori
dell'appartamento accanto rientrarono in questa loro casa, e
non saprei dire esattamente quando fu che, dal mio terrazzo,
vidi affacciata, ad una loro finestra sulla strada, la signora
Emma che stava gridando, fuori di sé, a qualcuno sul marciapiede
di fronte:
«Vieni ora a prendere il mio marito!.. Vieni ora a prenderlo!..»
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EAN 9788866151746
MESEMBRIANTEMI
I fiori di mezzogiorno
Sette Racconti
Nedo Tavera 17x24 Ill.
Pagg. 108 anno 2018 12,00
Collana Maremmana n. 10 |
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MESEMBRIANTEMI
I fiori di mezzogiorno. Sette Racconti. |
Ai lettori che mi faranno l'onore di leggere queste pagine
voglio dire che, dopo aver pubblicato diversi lavori di ricerca
storica sulla mia città, questo ultimo volumetto che ho
inteso presentare, dopo molte perplessità al riguardo,
ad un'età più che matura, è un'occasionale
incursione nel campo della narrativa e vuol essere una sorta
di canto del cigno, in chiave personale, sia per
dire addio a futuri propositi di impegno storico-letterario sia
per suggellare il tenace attaccamento alla mia città stessa.
Per la verità, non volevo proprio far stampare questi
scritti, buttati giù tanti anni fa e originati da esperienze
e impressioni personali della giovinezza. È stato soltanto
un mio scrupolo di coscienza, quasi un obbligo morale, che ho
sentito nei confronti di parte di essi a farmi cambiare idea.
Alludo, soprattutto, al ritratto, ancorché incompleto,
di una importante figura piombinese scomparsa come Don Vito Latini,
a cui avevo promesso da ragazzo di dedicargli addirittura una
biografia, alludo al breve, devoto ossequio alla memoria dell'Amica,
grandissima Artista, Magda Olivero e alludo anche
alla vicenda storica locale che ha dello incredibile e che riguardò
la premeditata e vandalica distruzione del Palazzo dei Principi
di Cittadella, di cui mi premeva rimarcarne qui l'estrema gravità,
affinché non venisse mai dimenticata dai Piombinesi.
IL MOSTRO D'ACCIAIO
Da ragazzi si usava andare in giro per Piombino ad esplorare
le zone più appartate e isolate della nostra città,
in cerca di evasione e di nuove esperienze. Bisognava conoscere
bene il nostro territorio. A parte le scorrazzate in bicicletta
fra gli Etruschi, a Baratti e a Populonia, spaziavamo, che so,
da Salivoli allo Scoglio d'Orlando a Calamoresca, dalla Pinetina
ai Quattro Pini, dalla Tolla al Semaforo al Porto, dal Bottaccio
a Marina al Canaletto, passando naturalmente, per le "Cento
Scalinate". Questo era uno dei luoghi più misteriosi
e avvincenti della Cittadella, che, al pari del Castello, costituiva
per noi tutto un mondo da scoprire, che attraeva e impressionava
allo stesso tempo: attraeva per irresistibile curiosità
e impressionava per il senso di inviolabilità che evocavano
quelle antiche muraglie difensive.
Nessuno, tranne il caso di Licurgo Cappelletti, aveva coltivato
la storia vera e antica della nostra città, e in pochi,
si può dire, ne sapevano qualcosa. Ciò che veniva
divulgato era appannaggio degli anziani, che lo tramandavano
ai giovani arricchendolo di volta in volta di orpelli sempre
più fantasiosi e volgari, perfino truculenti. Ma quanto
si andava tramandando di generazione in generazione era limitato
a fantasie sul primo Ottocento e sulla Baciocca in
particolare. Si ha un bel dire, oggi, Piombino erede di Populonia
etrusca e medievale! Piombino ex Capitale del suo Stato! Con
quell'andazzo tutto piombinese, chi aveva fatto le spese di tanta
colpevole ignoranza era stata proprio Elisa Bonaparte Baciocchi,
soprannominata con spregio la Baciocca, l'ultima e l'unica Principessa
di Piombino in bocca al popolo. Il quale aveva ricalcato per
lei più il ritratto perverso di una Messalina o di Lucrezia
Borgia che di una sovrana illuminata dell'Ottocento.
Per spiegarsi i motivi di tale demonizzazione sul
piano personale e morale, bisogna accennare alla sorta di leggenda
nera, diffamatoria, diffusa dagli oppositori di Napoleone
e dei Napoleonidi dopo la Restaurazione e la caduta di questi
ultimi. Ecco, dunque, il perché della fama delle "Cento
Scalinate", giù dalle quali, secondo tradizione orale
rozza e inesplicabile, venivano scagliati in mare i giovani piombinesi,
attirati a Palazzo, dopo che la stessa Principessa se ne era
servita per i suoi deliri erotici. Tradizione rozza perché
nata volutamente per denigrare la sovrana, inesplicabile anche
perché stiamo parlando dell'epoca napoleonica e non certo
del tempo di Pia de' Tolomei.
D'altronde, la storia che ha caratterizzato già la seconda
metà dell'Ottocento e gran parte del Novecento di una
Piombino precocemente industrializzata è stata la storia
del capitalismo industriale in atto e della contrapposta lotta
di classe, e si può dire che nella memoria collettiva
l'unico sentimento del passato che avesse cittadinanza nel dopoguerra
datava dal famoso sciopero-serrata del 1911, durato quasi sei
mesi e che ebbe una grande eco sulla stampa nazionale, passando
per il 1917 russo, l'insurrezionalismo anarchico degli anni '20,
il 1921 livornese fino agli Anni '40-'50 ed oltre.
Le date sono queste, consacrate anche in noti saggi che trattano
del movimento operaio locale. In tutti i decenni suddetti la
città antica non si chiamava neppure centro storico: si
definiva semplicemente Piombino vecchio, e come tale
si poteva impunemente offendere, ferire, sfigurare. Infatti,
la Cittadella fu stravolta, il Castello imbarbarito e abbandonato,
persino il Torrione e il Rivellino non ebbero particolari attenzioni.
Come se deturpare i monumenti e il paesaggio fosse indizio di
modernità, nuovi edifici popolari andarono a invadere
le zone-belvedere di Piazza Sant'Agostino e perfino di Piazza
Manzoni.
Nel primo dopoguerra, come dicevo, nelle scorribande di noi ragazzi
in Cittadella, Elisa, la Principessa emula del Grande Còrso,
era sempre presente nelle nostre fantasticherie. CONTINUA NEL
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