Il testo originale è scomparso dal web , questo è il testo alterantivo dove si parla sempre di sepolture medioevali:

 

 

Dinamiche insediative e geografia religiosa tra Lombardia e Istria nei secoli V - IX.

1.Descrizione generale del progetto: ambito geografico e cronologico, obiettivi.
2.Le tematiche d’indagine ed i questionari di ricerca.
2.1.L’inquadramento ecclesiastico del territorio: status, funzione origine delle singole chiese e rapporto con l’insediamento.
2.2.La tipologia degli edifici di culto: distinzioni e analogie regionali.
2.3.La decorazione architettonica e l’arredo liturgico: la partecipazione ad un universo artistico comune.
2.4.Le botteghe artigiane e l’organizzazione del lavoro.
2.5.Gli aspetti ideologici: evergetismo e forme di autorappresentazione.
3.Gli strumenti ed i tempi della ricerca.
4.Modelli regionali.
4.1.Il Friuli orientale e la penisola istriana.
4.2.L’area gardesana.
4.3.L’area compresa tra le Giudicarie e l’alta valle dell’Adige.
5.Bibliografia.

1. Descrizione generale del progetto: ambito geografico e cronologico, obiettivi.
Il legame tra geografia religiosa e popolamento è assai complesso, giacché, al di là dell’immediato rapporto tra edificio di culto e comunità dei fedeli, non si possono disconoscere gli effetti prodotti, nell’organizzazione religiosa di un territorio, da numerosi fattori di ordine economico, sociale e politico-militare. Il dato relativo alle chiese ed al loro arredo liturgico rappresenta spesso un indicatore privilegiato per comprendere le dinamiche insediative tra V e IX secolo, per individuare strategie di potere e di controllo del territorio, per caratterizzare ampi contesti regionali dal punto di vista artistico e artigianale-produttivo.
Il principale obiettivo del presente progetto è, appunto, quello di definire le tematiche dell’organizzazione ecclesiastica e del popolamento in alcune aree della regione alpina nord-orientale partendo dall’evidenza degli edifici di culto, dalla loro tipologia architettonica, dall’arredo scultoreo e musivo. Il che non è sempre facile per l’esiguo numero di indagini archeologiche mirate, per le discordanze nella datazione degli edifici cultuali e nella definizione del numero delle diocesi e dello status delle varie chiese, per la frequente impossibilità di attribuire con sicurezza i reperti scultorei propri di arredi liturgici dispersi in antico e, soprattutto, per la mancanza di confronti regionali.
Risulta prezioso ancorare, se possibile, il dato topografico a quello eminentemente descrittivo per attestare le direttrici, l’intensità, i modi e i tempi della cristianizzazione del territorio e per ricostruire la fisionomia religiosa e insediativa dei paesaggi medievali.
Il reperimento sistematico di tutte le testimonianze materiali e monumentali e la classificazione dei dati secondo vari livelli d’analisi sono funzionali agli altri obiettivi della ricerca: considerazioni sull’artigianato artistico (materiali, influenze nei decori, ipotesi sulla derivazione dei motivi e sulla circolazione dei modelli e delle maestranze, …), sugli aspetti socio-economici del lavoro artigiano (attività di bottega, mobilità e flessibilità nell’organizzazione del lavoro, …), sulle ideologie (la costruzione di chiese come strumento di evergetismo e come forma di autorappresentazione di un potere personale, per esempio, o anche la difesa della religione cristiana come segno di integrazione nell’impero carolingio).

L’ambito cronologico prescelto abbraccia il periodo compreso tra la tarda antichità e l’altomedioevo (V-IX) e, per la complessità dei fenomeni coinvolti, è suddivisibile in tre momenti, dei quali si riferiscono, qui di seguito, le principali tematiche:
1)secoli V-VI - La creazione del paesaggio cristiano, le origini della parrocchia rurale;
2)VII - prima metà VIII secolo – La cristianizzazione dei Longobardi e la “germanizzazione” del cristianesimo: trasformazioni ideologiche;
3)seconda metà VIII – IX secolo - Lo sviluppo dell’arte carolingia, la circolazione di modelli e maestranze, la creazione di un universo artistico comune. Tipologie regionali degli edifici di culto. Il consolidamento dell’organizzazione ecclesiastica del territorio.

All’interno dell’ampio contesto geografico, che sarà comunque studiato nella sua globalità per quanto riguarda la schedatura delle testimonianze artistiche e monumentali, si precisano tre aree campione da sottoporre ad analisi più approfondita, al fine di costruire modelli regionali confrontabili:
1)il Friuli orientale e la penisola istriana, aree che permettono di cogliere rapporti e influenze con le regioni dell’est e con la tradizione bizantina;
2)l’area gardesana, all’interno della quale sono in corso numerosi progetti di studio del territorio e sono, quindi, disponibili molti dati sull’insediamento;
3)l’area compresa tra le Giudicarie e l’alta valle dell’Adige, ricca di testimonianze monumentali e storico-artistiche e ottimo punto di osservazione per identificare relazioni con le regioni transalpine.

2. Le tematiche d’indagine ed i questionari di ricerca.
2.1. L’inquadramento ecclesiastico del territorio: status, funzione, origine delle singole chiese e rapporto con l’insediamento.
L’organizzazione ecclesiastica del territorio procede parallela all’espansione del cristianesimo e alla formazione delle prime comunità cristiane, sia nelle città, con la costituzione delle diocesi, sia nelle campagne, con la fondazione di chiese rurali e, dal punto di vista istituzionale, con la costituzione dei distretti pievani.
Il legame tra la dislocazione delle chiese nel territorio e le caratteristiche del popolamento non è, però, così diretto come potrebbe sembrare, giacché non sempre la costruzione di una cappella costituisce la risposta alle esigenze cultuali delle comunità contadine: le numerose chiese sorte nei secoli posteriori al VI non sono necessariamente connesse alla presenza di una collettività di potenziali fedeli, ma possono sorgere come oratori privati con funzioni prevalentemente cimiteriali1 - nonostante il divieto di sepoltura all’interno delle chiese esplicitamente formulato nel Liber diurnus (VI secolo) - oppure come chiese curtensi, strumento in mano ai domini per la gestione della proprietà agraria o ancora, dalla seconda metà del VII e per tutto l’VIII secolo, in relazione con le necropoli longobarde, come edifici-mausolei legati al prestigio sociale del committente2. Tenendo conto di questa realtà variegata, occorre capire i modi ed i tempi dell’organizzazione della cura d’anime nelle campagne: quando e con quali criteri si sia deciso di allargare a determinati centri religiosi rurali l’amministrazione del battesimo (e i diritti connessi)3 o di stabilizzare la presenza di un clero officiante; se e fino a che punto, nell’organizzazione della cura d’anime, sia stata operante la volontà di pianificazione da parte dell’autorità vescovile; dietro quale spinta (sollecitazione del clero o decisione autonoma ?), si siano mossi i fondatori di chiese e cappelle4.
Per valutare il rapporto tra luogo di culto e insediamento, due sono sostanzialmente i fenomeni sui quali occorre far luce: 1) il rapporto con le preesistenze insediative; 2) la funzione poleogenetica dell’edificio di culto e la sua eventuale incidenza nello sviluppo di nuclei abitati.
Il tema della cristianizzazione delle campagne riguarda, infatti, non solo la diffusione della fede cristiana e l’attività di apostolato, ma anche e soprattutto l’aspetto della continuità nell’occupazione di un sito, se pur con diversità di funzioni (chiese su insediamenti romani, in particolare ville rustiche e località già interessate da un culto pagano, di cui si promuove l’esaugurazione).
Accanto alle situazioni di persistenza insediativa sono anche da considerare i casi di connessione tra luoghi di culto e centri fortificati di nuova costituzione, che sorgono in età tardoantica per assolvere ad esigenze difensive, presentano un tessuto urbanistico razionalmente definito in base alle caratteristiche funzionali dell’insediamento ed alla configurazione morfologica del sito e possono comprendere al loro interno, spesso in posizione centrale o privilegiata, edifici ecclesiastici e sepolture5.
Una volta fondate, chiese battesimali e cappelle possono esercitare nei confronti degli abitanti delle campagne una forza di attrazione che porta alla creazione di nuclei rurali attorno agli edifici di culto; il fenomeno è accertato comunemente in Italia settentrionale negli anni intorno al Mille e, più isolatamente, nei secoli VIII e IX. Tale funzione poleogenetica può modificare più o meno profondamente l’assetto insediativo e risulta accresciuta quando la chiesa custodisce le reliquie di un martire o sorge lungo un’importante direttrice viaria, situazione tanto più facilmente realizzabile se l’edificio occupa il sito di un importante centro romano in abbandono, che possa offrire corpi santi da scoprire e abbondante materiale da costruzione6.
Per quanto riguarda le chiese matrici di un distretto pievano, la loro ubicazione all’interno di un abitato accentrato non è fenomeno assai frequente; anzi, come da alcuni storici è stato più volte notato7, il carattere originale della pieve rurale è il suo isolamento, funzionale alla tipologia di insediamento sparso (vici, villae, case massaricie).

2.2. La tipologia degli edifici di culto.
La classificazione degli edifici di culto - con l’identificazione della funzione (chiesa episcopale, pieve, chiesa battesimale, chiesa cimiteriale, oratorio privato, martyrion, memoria, …), delle caratteristiche icnografiche, della tipologia dei vari elementi costitutivi, delle tecniche costruttive, etc. - aiuta a ricostruire la storia della singola struttura o del complesso di cui fa parte (distinzione per fasi) e suggerisce i necessari confronti regionali.
Per l’età giustinianea e, in generale, per il periodo tra tardoantico e primo altomedioevo sono da distinguere gli elementi di derivazione bizantina / orientale (l’abside semicircolare internamente e poligonale esternamente; la presenza dei pastoforia o del bema, entrambi elementi di derivazione siriaca, l’esecuzione di lesene sulle facciate con caratteristiche “adriobizantine”) e quelli propri della tradizione occidentale (la costruzione di cupole e absidi mediante tubi fittili e materiali leggeri; la presenze della solea, di cui è ormai recisamente smentita l’origine bizantina ed è ribadito il carattere “originale”8), spesso compresenti nel medesimo edificio.
Si sono utilizzati, come base di partenza, alcuni lavori realizzati su diverse realtà territoriali italiane ed europee9 e si è proposta una prima suddivisione tipologica per gli edifici di culto altomedievali del territorio in oggetto.

I. Impianti triabsidati.
Questi impianti si inseriscono in un alveo di esperienze maturate a partire dal VI secolo in una vasta area compresa fra l’alto Adriatico e la Rezia (Sennahauser 1996, Menis 1999, Cantino Wataghin 2000). Si distinguono tre sottotipi ed alcune altre varianti, la cui adozione è legata a valenze funzionali, cultuali, cronologiche in proporzione ancora da definire:

1a. Basilica a tre navate con presbiterio a tre absidi sporgenti.
Bale/Valle, Chiesa di Santa Maria Alta (Marusic 1986/87; Jurkovic / Caillet / Matejeic 1997; Jurkovic 1997; Jurkovic 2000)
Gurano presso Degnano, chiesa di San Quirino (Marusic 1986/87, Jurkovic 2000)
1b. Basilica a tre navate con tre absidi iscritte nel muro posteriore.
Gurano presso Degnano, “basilica a tre navate” (Jurkovic 2000)
Peroj, chiesa di Santa Fosca (Jurkovic 2000)

2a. Basilica a navata unica con presbiterio a tre absidi sporgenti.
Numerosi esempi e strette analogie si riscontrano in Italia settentrionale (San Salvatore di Sirmione, Brogiolo 1989, Roffia c.s.; San Michele alla Pusterla di Pavia, Peroni 1972; Santa Maria d’Aurona di Milano, De Capitani 1944, Dianzani 1989), nella penisola istriana (Bale/Valle, Chiesa parrocchiale, Matejeic 1996, Jurkovic 2000), nella Svizzera meridionale (Mistail, Mustair, Chur, Disentis ecc., Matejeic 1996),
2b. Basilica a navata unica con tre absidi iscritte nel muro posteriore.
Gurano presso Degnano, chiesa di San Simeone (Marusic 1963, Jurkovic 2000)
Peroj, chiesa di Santo Stefano (Jurkovic 2000)
Parenzo, chiesa di Sant’Andrea nel complesso del duomo (Cuscito 1998, Jurkovic 2000)
nei pressi di Valle, chiesa di San Gervaso (Jurkovic 2000)
Duecastelli, chiesa di Santa Sofia (Cuscito 1998, Jurkovic 2000)

3. Chiesa centrale a croce con tre absidi allineate lungo il braccio trasversale.
Rovigno, chiesa di san Tomà (Marusic 1967, Sonje 1982, Jurkovic 2000)
Isoletta di fronte a Rovigno, chiesa di Sant’Andrea (Fuèic 1965, Jurkovic 2000)
Analogie con chiese dell’Italia settentrionale e della svizzera meridionale:
San Pietro a Quarazze vicino Bolzano, Santa Maria in Silvis a Sesto del Reghena (Menis 1992, Menis 1999), prima fase del San Salvatore di Brescia (Brogiolo 1993, Brogiolo 1999d).

 

II. Impianti monoabsidati.
Anche gli impianti monoabsidati presentano le due varianti con abside sporgente (1a – San Martino di Rive d’Arcano, Santo Stefano di Garlate, San Martino di Castel Drena, San Martino di Campi di Riva del Garda, Sant’Eleuterio del Bleggio, San Giovanni del Timavo, fase II; Orsera presso Parenzo, fase II) e con abside iscritta nel muro posteriore (1b – Nesazio, basiliche settentrionale e meridionale).

III. Schema a navata unica e coro quadrangolare.
Si riscontra nella chiesa abbaziale (Santi Pietro e Andrea) e nelle cappelle / oratori (Santa Maria, San Michele, San Salvatore, Sant’Eldrado) della Novalesa, che rivelano notevoli affinità sia nella planimetria sia nell’articolazione delle pareti, e che si collocano per le differenti proporzioni in una sequenza cronologica; dalla forma quasi prossima al quadrato propria della cappella di Santa Maria, la più antica, alle piante più strette e allungate degli altri edifici (Cantino Wataghin 2000).
Questa planimetria rimanda ad una tradizione di ambito franco formatasi nel VI-VII secolo (cfr. la “chiesa a sala con presbiterio rettangolare rientrato” definita da Sennhauser) e presente solo occasionalmente a sud delle Alpi (Pittarello-Micheletto-Cantino Wataghin 1979; Sennhauser c.s.), oltre che in Piemonte, in Friuli (San Pietro di Ragogna, Santa Maria Maddalena di Invillino) ed in Lombardia (San Martino di Trezzo).

Si sottolinea la necessità di articolare ulteriormente la classificazione e di verificare eventuali rapporti tra contesti regionali e soluzioni architettoniche adottate.

2.3. La decorazione architettonica e l’arredo liturgico: la partecipazione ad un universo artistico comune.
L’uso di pezzi prodotti in serie e di materiali antichi di reimpiego (capitelli, colonne marmoree, rilievi spesso inseriti nelle murature con l’ornato a vista, etc.) è frequente nell’architettura tardoantica. Conseguenza ne è il mancato rispetto degli ordini architettonici, o meglio una concezione nuova dell’elemento architettonico e della pertinenza di ogni singolo pezzo con l’edificio di cui fa parte: l’edificio non è più concepito come un’opera d’arte unitaria; l’architettura ora vuole creare lo spazio e subordina ad esso il singolo elemento architettonico, rendendolo sostituibile. I singoli pezzi sono concepiti come puri elementi decorativi e permettono di costruire rapporti tra chiari e scuri e di creare un’immagine di spazio smaterializzato ed in movimento, percepito come tale da chi ne fruisce (Deichmann10, cfr. Roma, mausoleo di Costantina / Santa Costanza; Costantinopoli, chiesa di Santa Sofia).
Nel corso dell’altomedioevo, a partire dal VII secolo, con il moltiplicarsi delle fondazioni ecclesiastiche e con il mutarsi del gusto e della concezione dello spazio architettonico, riprende sistematica l’attività dei tagliatori di pietra e degli scalpellini che realizzano la decorazione architettonica degli edifici e l’arredo liturgico delle varie chiese.
Il dato stilistico ed iconografico indica la comune partecipazione dei vari gruppi, stabili ed itineranti, ad un universo artistico comune, più o meno indifferenziato e soggetto ad una comune evoluzione: progressivamente, tra VIII e IX secolo, diminuiscono nella scultura gli elementi classici e bizantineggianti e si delinea, di contro, la tendenza a sostituire il linguaggio figurativo e naturalistico con l’astratto e il geometrico11; prevale una diversa coordinazione degli schemi compositivi che si accompagna ad una tecnica anche meno raffinata12; la rappresentazione, se pure talvolta utilizza i motivi simbolici già conosciuti, li imbriglia all’interno di scansioni prefigurate e ne esalta il puro valore ornamentale13. Con il IX secolo si assiste, di contro, al ritorno a forme classiche, ispirato dall’opera riformatrice di Carlo Magno: la simmetria classica, la simbologia paleocristiana e bizantina si combinano con elementi germanici e con il barbarico “horror vacui”, e ricreano in modo nuovo schemi, motivi e forme dei secoli precedenti14.
Possibili influenze che si riscontrano nei decori e nelle soluzioni stilistiche sono dovute non solo alla circolazione delle maestranze, ma anche all’uso degli stessi cartoni; alla distribuzione dei prodotti già lavorati; ad una consolidata relazione di dipendenza tra la funzione dell’oggetto e la sua ornamentazione. In questa comune evoluzione sono, semmai, individuabili tempi diversi a seconda dei luoghi: l’attardamento in aree di montagna e la più rapida ricezione di motivi e tecniche in aree prossime a bacini e vie di comunicazione fluvio-lacuali.
All’interno di questa ricostruzione si inserisce lo studio delle modalità del lavoro e dell’organizzazione delle botteghe che, allo stesso modo, non può prescindere da considerazioni legate ai tempi ed ai luoghi.

2.4. Le botteghe artigiane e l’organizzazione del lavoro.
Il discorso sull’organizzazione del lavoro, sulle caratteristiche delle botteghe artigiane, sul peso delle scuole monastiche e delle scuole di corte (Brogiolo, c.s.B) acquista senso pieno a partire dal tardo VII e dall’VIII secolo.
Le fonti scritte d’età longobarda, che ricordano i magistri commacini15, e gli studi effettuati sulla società e sull’economia nell’altomedioevo evidenziano due possibilità organizzative per il lavoro artigiano tra la tarda età longobarda e la prima età carolingia: a) maestranze itineranti, di volta in volta ingaggiate per realizzare le varie intraprese edilizie e decorative e per operare nei vari cantieri; b) gruppi locali, in genere servi specializzati attivi all’interno delle varie aziende curtensi oppure operanti all’interno di scuole collegate ai monasteri benedettini ed alle corti16. A proposito di questa seconda possibilità è illuminante un esempio, che fa riferimento alle cave gardesane di arenaria ubicate in Summolaco, nella zona tra Arco e Riva (area campione 3): testi di VIII-X secolo menzionano “tagliatori di pietre” fra i servi di una curtis monastica in Summolaco (Alto Garda)17.
L’attività di gruppi di artigiani esterni, della cui esistenza non possiamo dubitare, non contrasta la prevalenza di questo modello autarchico, ma, anzi, contribuisce ad alimentarlo: gli esterni stabilivano con gli eventuali gruppi locali rapporti di collaborazione temporanea e reiterata. Le due forme di organizzazione del lavoro coesistevano e si combinavano tra loro, prevalendo a seconda del contesto, del committente e dell’impresa edilizia.
Si assume, quindi, come ipotesi di partenza, suscettibile di verifica e aggiustamenti, un modello di struttura flessibile nell’organizzazione del lavoro: un ristretto nucleo di dipendenti stabili, piccoli gruppi itineranti di lapicidi decoratori, non legati ad una struttura fissa, ma uniti occasionalmente per l’esecuzione dei vari lavori ed attivi in un comprensorio più o meno circoscritto.
Utilizzando perlopiù materiale lapideo locale, combinavano variamente cartoni con decori comuni e motivi consolidati, impiegandoli spesso senza porre attenzione al loro valore simbolico. Al di là di quella che doveva essere la pratica usuale, però, l’alta qualità di alcuni prodotti e l’alto grado di cultura figurativa che rivelano alcuni pezzi inducono anche ad ipotizzare il saltuario intervento di operatori altamente specializzati, maestri artigiani e personalità di spicco, che operavano probabilmente su un territorio abbastanza vasto al servizio di una committenza socialmente ed economicamente privilegiata.
E’ lecito domandarsi quanto tenace fosse la tradizione familiare all’interno di questi gruppi artigiani indipendenti. E’ plausibile l’ipotesi che la trasmissione del sapere tecnico e la continuità dell’impresa artigiana da padre in figlio rappresentassero la consuetudine, come poi sarà in piena età medievale all’interno delle botteghe artigiane. Nei secoli successivi al X si realizza, infatti, l’evoluzione dal sistema di integrazione fra economia controllata/protetta e libera attività esercitata da maestranze itineranti alla costituzione di botteghe familiari, articolate attorno ad un maestro, stanziali ed attive in aree circoscritte: giunge a compimento un processo inarrestabile, con la fine di un modello economico e l’affermazione di un altro modello, sorto dalle rovine del precedente e prodotto dalla maturazione di alcuni aspetti che già vivevano in questo.

2.5. Gli aspetti ideologici: evergetismo e forme di autorappresentazione.
La costruzione o il restauro di edifici di culto e la fondazione di monasteri sono, in alcuni periodi, una forma di autorappresentazione ed un mezzo di consolidamento di un potere personale.
Dalla seconda metà del VII e nel corso dell’VIII secolo, nella società longobarda giunge a compimento il processo di cristianizzazione e, parallelamente, si verifica un mutamento del rituale funerario (assenza di corredo, donazioni post obitum), che riflette ed è parte integrante del mutamento nelle élites aristocratiche e nei modi di trasmissione della proprietà. Le istituzione ecclesiastiche, legate alle fortune delle varie famiglie, vengono intese quale strumento di rafforzamento patrimoniale dell’aristocrazia stessa e si qualificano come sedi di potere personale e strumenti di controllo sul territorio, oltre che come mezzi per intrecciare una rete di relazioni di solidarietà e di clientela, e per affermare, conservare, tramandare la propria identità sociale18.
La politica di Desiderio ed Ansa, a Brescia e nel territorio bresciano (San Salvatore di Brescia, San Salvatore di Sirmione, monastero di Leno) è indicativa in tal senso e si rivela assai chiaramente per la chiesa di San Salvatore di Brescia, intesa come mausoleo dinastico e destinata ad accogliere le spoglie della regina Ansa19.
La costruzione della chiesa pro remedio animae ottiene il duplice risultato di preservare le sepolture degli antenati e di evidenziare esteriormente il prestigio sociale della famiglia e la propria auctoritas. Il fenomeno, in ambito rurale, è riscontrabile a San Martino di Trezzo sull’Adda, dove la chiesa medievale di San Martino ricalca un primo edificio-mausoleo di età longobarda, che sigilla alcune sepolture ed è impostato in parte su ruderi romani. Il possibile committente dell’edificio-mausoleo, del quale sono stati messi in luce residui dei perimetrali, sarebbe il defunto della tomba 314, che, datata alla seconda metà del VII secolo, ha orientamento anomalo (nord-sud) e viene a trovarsi proprio sulla mezzeria dell’edificio, quasi presupponendolo, in corrispondenza dell’asse della chiesa, davanti al presbiterio20.
L’uso politico dell’evergetismo e il legame fra la costruzione o il restauro di chiese ed il sostegno dell’ideologia dominante si riscontrano anche nell’Istria franca (seconda metà VIII – IX secolo) e si rivelano nelle iniziative di Maurizio di Cittanova, di Donato di Zara e di altri presuli ambiziosi, legati al potere carolingio (Brogiolo c.s. B, Jurkovic 2000; cfr. § 4.1); analogamente all’interno della classe dirigente croata, integrata strettamente nell’esercito franco, il potere militare si combina all’ideologia cristiana e dà luogo ad un’arte sacra e ad esiti architettonici fortemente permeati di influenze carolinge (iscrizioni sugli arredi sacri; presenza del westwerk, cappella privata e mausoleo del nobile locale)21.

3. Gli strumenti ed i tempi della ricerca.
3.1. Schedatura chiese.
Si prevede, in circa quattro mesi, il censimento sistematico e la schedatura degli edifici di culto22, identificando le seguenti voci: caratteristiche planimetriche e icnografiche, funzione (chiesa episcopale, pieve, chiesa battesimale, chiesa cimiteriale, oratorio privato, martyrion, memoria, …), elementi costitutivi dell’edificio o dell’eventuale complesso di cui fa parte (abside, presbiterio, coro, nartece, ambienti laterali annessi o pastophoria, catechumenaeum, etc.), tecniche costruttive (materiali usati, cupola o abside in tubi fittili sovrapposti, trattamento delle superfici esterni, …), presenza di elementi di reimpiego, cronologia e distinzione in fasi, eventuali preesistenze insediative, documentazione grafica e fotografica, bibliografia, …

3.2. Schedatura elementi scultorei e musivi.
Circa quattro mesi di lavoro saranno dedicati al censimento, alla documentazione grafica e fotografica, alla compilazione di schede descrittive degli elementi scultorei e musivi pertinenti agli edifici di culto.
Le schede comprenderanno la definizione e la descrizione del reperto, l’indicazione del materiale, considerazioni iconografiche e stilistiche, eventuali confronti, cronologia, dati sulla dimensione del pezzo e sulla sua attuale collocazione, notizie sulle circostanze e sui luoghi del ritrovamento, bibliografia.

3.3. Acquisizione documentazione archeologica pregressa.
L’acquisizione della documentazione archeologica pregressa, relativa alle aree campione, sarà realizzata in circa quattro mesi e fornirà il materiale per una ricostruzione del popolamento nella diacronia e per riflettere sul rapporto tra luogo di culto ed insediamenti.

3.4. Spoglio delle fonti scritte e dei regesti.
Si prevede di dedicare circa quattro mesi allo spoglio e alla schedatura delle fonti edite e dei regesti disponibili, nonché agli approfondimenti sulla documentazione inedita.

3.5. Lavoro sul campo: ricognizione mirata nelle aree campione.
Alle sistematiche esplorazioni degli edifici di culto presenti nelle regioni campione e delle collezioni museali si accompagnerà, in circa otto mesi, la ricognizione mirata (aree in prossimità delle chiese, aree segnalate da toponimi significativi e da indicazione nelle fonti documentarie, etc.) del territorio a verifica del potenziale archeologico.

3.6. Elaborazione dati (database), confronti regionali, stesura della tesi.
La fase centrale del progetto prevede, in circa 12 mesi, l’elaborazione dei dati raccolti e la costruzione di modelli interpretativi per le principali tematiche già descritte nel questionario di ricerca (cfr. § 2). In questa fase verranno realizzate la stesura della tesi e la redazione degli strumenti di supporto al testo (tabelle, grafici, apparato cartografico, elaborazioni fotografiche, etc.) il cui progressivo sviluppo su base informatica procederà di pari passo con la ricerca.

4. Modelli regionali.
4.1. Il Friuli orientale e la penisola istriana.
Una stretta simbiosi unisce l’Istria al Friuli orientale, regione di transizione per eccellenza, tanto che la storia e l’arte dell’una regione sono strettamente legate a quelle dell’altra.
Le notizie delle fonti documentarie - prevalentemente gli atti dei concili, i sinodi, le epistole papali ed imperiali - si intersecano, completano e talvolta contraddicono i dati archeologici, sui quali, del resto, l’interpretazione non è sempre univoca23. Una prima fondamentale discordanza interpretativa riguarda l’istituzione e la distribuzione delle sedi episcopali, la cui più antica menzione si ha in occasione del sinodo provinciale tenutosi a Grado (3 novembre 579) a conferma della fede tricapitolina. Ma, come lamenta Cuscito24, per i secoli V e VI la principale aporia conoscitiva riguarda le caratteristiche insediative del territorio, la consistenza dei numerosi abitati minori disseminati sull’ager di importanti municipi ed il loro rapporto con gli edifici di culto, primitive chiese battesimali, o “pre-pievi”.
A conclusione di un’analisi preliminare per settori che corrispondono agli agri colonici dell’Istria occidentale e del Friuli orientale25, Cuscito connette l’origine dei centri battesimali del territorio istriano a vari fattori: 1) l’esaugurazione di un culto pagano (San Giovanni del Timavo); 2) lo sviluppo di un culto martiriale associato alla presenza di venerate reliquie (San Giovanni del Timavo; complesso di Sant’Andrea a Betica presso Pola); 3) l’utilizzazione di ville rustiche (Orsera presso Parenzo; Sant’Ermagora a Samagher presso Pola; complesso di Sant’Andrea a Betica presso Pola); 4) l’incastellamento tardoantico e altomedievale (Valle e Due Castelli, con confronti anche ad Ibligo-Invillino in Friuli). Si individuano, nella tipologia delle chiese, gli elementi di tradizione bizantina, costantinopolitana (abside semicircolare internamente e poligonale esternamente, nella chiesa abbaziale di Santa Maria in Valle) e siriaca (la tricora di Sant’Andrea a Betica; nell’impianto di II fase ad Orsera, la presenza di pastoforia, “ambienti laterali all’abside”) e, insieme, quelli di tradizione prettamente occidentale (la conca absidale costruita in tubi fittili nel complesso di Orsera presso Parenzo, fase II).
Nel corso dell’altomedioevo la distinzione tra fascia costiera (con i centri di Pola, Parenzo, Rovigno, Cittanova, …) e interno, già manifestata nei secoli precedenti, si accentua e dà luogo ad una discrepanza: mentre la zona costiera presenta una evidente continuità nella conservazione degli impianti urbanistici e delle strutture monumentali di età giustinianea (cfr. Parenzo e Pola), il territorio interno si caratterizza per la discontinuità dal punto di vista dell’insediamento (abbandono di chiese paleocristiane) e per la continuità della tradizione tardoantica dal punto di vista delle tipologie architettoniche.
I secoli tra il VII e la prima metà VIII rappresentano un punto oscuro, in quanto mancano dati inerenti alle chiese o le cronologie degli edifici sono incerte. Nella seconda metà dell’VIII secolo e nel corso del IX, dopo il concilio di Mantova (827) ed il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica di Aquileia sulle diocesi istriane, sono attestate nuove costruzioni, che si affiancano ai restauri degli antichi edifici ed agli adeguamenti alle mutate esigenze liturgiche. Dall’analisi di questi edifici Jurkovic desume una dimostrazione indiretta di continuità, almeno nella tradizione costruttiva, e di graduale trasformazione nelle tipologie e nelle forme degli arredi liturgici.
Il controllo del territorio istriano, in età carolingia, era diretto, si fondava sui castra di Cittanova e, più a meridione, di Duecastelli, di Valle e, forse, di Dignano; l’organizzazione economica e sociale si basava sulla curtis e sui beni fiscali e si appoggiava ai monasteri, come quello di Sant’Andrea, sull’isoletta di fronte a Rovigno, e di Santa Maria Alta, nei pressi di Valle26.
Numerosi sono, di conseguenza, gli interventi franchi sulle chiese cattedrali: a Pola; a Parenzo, con l’esecuzione del mosaico pavimentale (che trova confronti in Aquileia, Cividale, Cervignano27) e con interventi nel tessuto architettonico del complesso (alla chiesa settentrionale viene aggiunto un presbiterio con tre absidi iscritte nel muro posteriore); a Cittanova, che vive il suo apogeo proprio in età carolingia, quando – dopo il 788 – il castrum diventa il fulcro del potere franco nella regione ed è teatro delle iniziative del vescovo Maurizio e del dux Johannes. La cattedrale di Cittanova, eretta o rinnovata nell’VIII secolo, è una basilica dotata di coro allungato e presenta analogie con il modello aquileiese (Jurkovic 2000, Matejcic 2000); è affiancata dal battistero ottagono con il ciborio del vescovo Maurizio.
Il ciborio esagonale (anni settanta dell’VIII) rivela, a sua volta, confronti e identità di dettagli con le sculture di Santa Maria in Valle di Cividale, di Sedegliano, S. Martino di Turrida, Zuglio, Rive d’Arcano (Jurkovic 1995, Jurkovic 2000) e conferma l’esistenza di un rapporto privilegiato, dal punto di vista artistico, tra Istria e Friuli e, nello specifico, il possibile intervento di maestri cividalesi a Cittanova.

4.2. L’area gardesana.
Nell’area gardesana, dove sono tuttora in corso numerosi progetti di ricerca volti a comprendere i vari aspetti del paesaggio antico28, il rapporto tra chiesa e abitato è definito secondo varie possibilità non necessariamente alternative l’una all’altra: continuità fisica con il precedente insediamento (San Vito di Cortelline, Santa Maria di Cisano, Pieve di Manerba); continuità di bacino (San Pietro nel territorio di Bardolino, San Faustino e San Vittore in quello di Cavaion veronese); erezione ex novo in località non interessate da preesistenze, in relazione o meno con un insediamento sparso (S. Floriano nella Valpolicella29; S. Verolo a Castion Veronese)30. Nonostante alcune recenti sintesi31, appare evidente la necessità di ulteriori approfondimenti archeologici e di indagini puntuali.
La regione è un punto di osservatorio privilegiato per studiare il rapporto tra edificio di culto e insediamento, grazie al cospicuo numero di dati relativi non solo agli abitati (ville e fattorie, villaggi, castelli), ma anche ai paesaggi agrari, alle aree di frequentazione, alla viabilità antica. E si presta anche ad analisi sulla distribuzione dei prodotti, sulla circolazione degli artigiani, sulle possibili influenze nei motivi decorativi e sui contatti con le regioni transalpine, per il ruolo chiave da sempre rivestito dal Garda come tramite di penetrazione nord-sud, attraverso le Giudicarie e la Val di Non32.

4.3. L’area compresa tra le Giudicarie e l’alta valle dell’Adige
Per completare la mappa degli approfondimenti si seleziona una porzione di territorio trentino (tra le Giudicarie e l’alta valle dell’Adige) limitatamente ai secoli VIII-X, quando l’area offre numerose testimonianze di una fiorente attività lapicida collegabile alla presenza di almeno due importanti cave di arenaria, ubicate nella zona tra Arco e Riva (Summolaco) e in prossimità di Lundo nel Lomaso (Giudicarie Esteriori).
Il primo tipo di pietra, la cosiddetta “arenaria d’Arco”, chiamata anche “pietra morta”, ha grana molto fine e compatta, a spigoli vivi, e si distingue per il colore grigio, mentre la pietra di Lundo (calcare oolitico) ha grana più grossa, conglomerati rotondeggianti, e presenta un colore bianco-dorato33. La Fogliardi, tuttavia, osserva come la distinzione fra i due tipi di pietra non sia sempre un’operazione semplice, nonostante possano essere d’aiuto notazioni di ordine tecnico e stilistico, giacché i corredi liturgici eseguiti utilizzando la pietra calcarea del Lomaso presentano, generalmente, fattura più accurata rispetto a quelli scolpiti in arenaria dell’Alto Garda.
La compresenza di lastre altomedievali decorate provenienti dalle due cave è una caratteristica ricorrente nell’intera area tra il Garda e l’Adige e si registra, per esempio, nei resti degli arredi liturgici provenienti dalla città di Trento (dalla basilica del Doss Trento, dal Duomo, da Santa Maria Maggiore) e da altri contesti, come la chiesa di S. Lorenzo a Tenno, nelle Giudicarie, dove le sculture altomedievali reimpiegate nella muratura dell’abside risultano, ad un’analisi puramente visiva, parte in arenaria d’Arco e parte in pietra di Lundo34. La medesima compresenza si riscontra anche in alcuni pezzi provenienti dalle Giudicarie Esteriori, precisamente dalla pieve di S. Lorenzo a Vigo Lomaso e dalla vicina chiesetta di S. Silvestro nel Lomaso.
Nel territorio e nel periodo prescelto si intende, quindi, focalizzare le seguenti problematiche: le cave ed i tramiti di approvvigionamento del materiale lapideo; la distribuzione dei prodotti finiti; la diffusione dei cartoni e dei motivi decorativi; la circolazione delle maestranze; l’organizzazione delle botteghe.
Annalisa Colecchia
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