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EAN 9788866152866

IL PECCATO DI ESSERE NATA DONNA
Figure testi per i diritti femminili fra Sette e Ottocento

Giulia Marmugi
pp. 102 ill. f.to A5 anno 2024 € 10,00

Collana Saggi & Studi n. 40
Giulia Marmugi
Nata a Piombino, diplomata al Liceo Linguistico, Laureanda in filologia
moderna all'università di Firenze, già laureata in lettere all'Università di
Pisa. Questo è il suo primo libro frutto di una rivisitazione della sua tesi
triennale.

 

 

 

 

 

IL PECCATO DI ESSERE NATA DONNA

Figure e testi per i diritti femminili fra Sette e Ottocento

Nel Settecento in Europa le donne godevano di una determinata libertà: le ragazze di buona famiglia, contrariamente ai tempi passati, Medioevo o Rinascimento, avevano più occasioni per valicare la soglia di casa. Se prima potevano essere intraviste quasi esclusivamente durante le funzioni religiose, nel XVIII secolo erano ammesse a partecipare ai ricevimenti, ai concerti, alle messe in scena di commedie, dove le dame avevano la possibilità di incontrare il loro futuro marito. Questa non era la situazione di ogni famiglia, molti padri non erano così permissivi e i tempi dell’entrata delle giovani nel mondo potevano variare.
In Sicilia, ad esempio, una volta educate dalle madri, le giovani potevano entrare in società, mentre a Venezia era molto raro che alle donne nubili fosse concesso di partecipare agli eventi pubblici. Pur restando fortemente soggette alle leggi paterne, una volta sposate erano libere di esercitare una sorta di dominio in casa.
Di fatto, molte testimonianze riportano l’esistenza di salotti adibiti ai ritrovi e alle conversazioni. A capo di essi, le donne aristocratiche e dell’alta borghesia dovevano essere educate a comparire bene, a sostenere una conversazione e dovevano imparare le arti come la musica e la danza.
Tuttavia, in un clima illuministico come quello del Settecento, la cultura non venne limitata agli spazi ristretti dei salotti. Molte, anche da autodidatte, si dedicarono a studi severi, tra queste una delle più note fu Maria Gaetana Agnesi (1718-1799), figura di spicco per il suo grande talento matematico e successivamente per l'impegno e la devozione con cui si dedicò alle opere caritatevoli. Il suo lavoro più importante fu il saggio Istituzioni Analitiche (1748), un testo pensato come manuale di studio che trattava in maniera chiara e concisa le diverse aree della matematica. Insegnò quest’ultima all’Università di Bologna, l’unica istituzione ad ammettere delle docenti donne.
Al culmine della fama, abbandonò gli studi e le ricerche scientifiche per dedicarsi alla cura e all’assistenza di poveri e bisognosi e allo studio delle Sacre Scritture. Non dobbiamo però dimenticare che l’istruzione rimaneva un lusso che solo alcune donne aristocratico-borghesi potevano permettersi; l’alfabetizzazione non era presa in considerazione per le donne delle classi inferiori, che spesso dovevano lavorare per contribuire al mantenimento della famiglia.
Con tutto ciò, quello che colpisce veramente, sia nel contesto delle corti sia negli ambienti nobiliari e alto-borghesi, era la nuova capacità d’azione che veniva riconosciuta alle donne. Non solo avevano una grande libertà di movimento nel campo erotico-sessuale, accompagnata da una legittimazione sociale piuttosto pervasiva, ma ricoprivano anche ruoli intellettuali, e in qualche caso politici, di assoluto prim’ordine. Nella corte del re di Francia l’ultima delle numerose amanti di Luigi XIV, l’amatissima e pia Madame de Maintenon, seguiva costantemente gli affari di governo, tanto che al tempo della guerra di successione spagnola le riunioni dei ministri si tennero nelle sue stanze e alla sua presenza1.

Al di là dei diritti educativi, il problema del ruolo politico delle donne, di cui ancora oggi si discute, si pose per la prima volta in Europa con la Rivoluzione francese. La Rivoluzione, d’altra parte, non portò alla parità tra i sessi; si limitò a dare visibilità alle voci a favore dell’ingresso delle donne nella vita pubblica, senza però portare sostanziali modifiche al diritto e al loro ruolo nella società. Avrebbe dovuto comportare leggi che migliorassero la condizione femminile, senza sovvertire la loro natura di madri e mogli. Non considerate cittadine neanche negli anni rivoluzionari, il Codice napoleonico del 1804 le riportò alla situazione di dipendenza precedente la Rivoluzione. SEGUE NEL LIBRO


 

 

 

 

 

 

 

 

 
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