Il severo ritratto di Giacomo Matteotti, stilizzato,
scontornato, dotto ad icona, fu per la generazione degli italiani
antifascisti durante il Ventennio fascista ed anche nel secondo
dopoguerra, un simbolo paragonabile a quella che è stata
in seguito limmagine di Che Guevara. Tenere la sua fotografia
nel portafoglio o riposta in un cassetto nella propria abitazione
era un piccolo segno di ribellione (che a volte poteva costare
caro) o di affermazione di unidentità antifascista
che andava oltre le appartenenze partitiche. Era come se la tragica
fine del giovane deputato socialista, barbaramente ucciso dai
fascisti nel 1924, avesse congelato la sua intera, anche se breve
esistenza.
Nato a Fratta Polesine (Rovigo) il 22 maggio 1885, giovane e
colto avvocato, appartenente ad una facoltosa famiglia di proprietari
terrieri, si convertì alle idee socialiste ed alla causa
del proletariato. I suoi avversari politici lo definivano con
disprezzo lo «stramilionario» o «paron Matteotti»,
mentre lui si batteva per migliorare le condizioni delle miserabili
masse bracciantili del Polesine, una delle aree più povere
dellItalia centro- settentrionale. Il suo amico A. Parini
lo ricordava sempre presente dove vi era un impegno, anche modesto:
«in automobile, in bicicletta, a piedi, col mezzo più
opportuno non importava se pioveva a dirotto. Bisognava andare
dove si era promesso e dove si era attesi. Qualunque letto, poltrona
o fienile serviva per il breve riposo. Poche fette di salame
e un po di pane».
Matteotti, oltre ad essere un valido studioso di diritto, era
un socialista riformista coerente, quasi estremista, anche se
i termini possono apparire contraddittori: il suo socialismo
era, infatti, maturato nelle cooperative, nelle leghe contadine,
nelle amministrazioni locali; per lui il socialismo era soprattutto
un fattore di civiltà, la cui scomparsa avrebbe segnato
anche la fine della democrazia in Italia.
Coerente neutralista durante la prima guerra mondiale, fu un
altrettanto coerente antifascista: eletto deputato nel 1919 e
poi nel 21, vide nel fascismo la reazione di una borghesia
agraria gretta e conservatrice che non voleva perdere i propri
privilegi e che era quindi pronta a scatenare le violenze più
efferate contro i lavoratori e le loro organizzazioni.
Uomo di grande coraggio personale (era stato più volte
aggredito dai fascisti), era uno dei leader emergenti del socialismo
italiano (non aveva neanche quarantanni quando morì)
e, dopo la scissione del PCdI del 21 e la fondazione
del Partito Socialista Unitario (PSU) di matrice riformista,
era divenuto segretario di questultima formazione. In questo
ruolo aveva combattuto la sua battaglia antifascista, divenendo
una delle punte più attive dellopposizione, contrario
ad ogni cedimento verso il nuovo governo fascista, che cercava
di attrarre gli elementi più moderati dei riformisti nella
sua orbita.1Le elezioni del 6 aprile 1924 si svolsero in un clima
di violenze diffuse e di illegalità, con una legge elettorale
a carattere spiccatamente maggioritario (legge Acerbo) che finì
per favorire il «listone» dei fascisti e dei loro
alleati conservatori.
Il celebre discorso del 30 maggio pronunciato da Matteotti per
denunciare i brogli elettorali ed annunciare unopposizione
dura al governo, fu preso malissimo da Mussolini che voleva da
una parte allargare il suo già ampio consenso addomesticando
lopposizione se possibile, altrimenti schiacciandola con
tutti i mezzi, anche quelli illegali.
Di questa fase difficile ed eroica abbiamo una testimonianza
di Mario Berlinguer (Sassari 1891- Roma 1969), allora giovane
deputato di opposizione per la lista democratica- liberale di
Giovanni Amendola...
continua nel libro |