DALLA PREFAZIONE di PAOLO RICCA
«Quando apri il libro degli evangeli, eleggi o ascolti
come Cristo vada in un posto oppure in un altro, o come qualcuno
venga condotto a lui, devi, per quel mezzo, prendere coscienza
della predicazione o dellEvangelo mediante il quale egli
viene a te o tu sei condotto a lui. Infatti predicare lEvangelo
non è altro che questo: Cristo viene a noi o ci conduce
a lui. Ma quando osservi come egli opera e come aiuta ognuno
di quelli dai quali va o che sono condotti a lui, sappi che è
la fede che compie in te questopera e offre alla tua anima
lo stesso aiuto e la stessa bontà mediante il suo Evangelo»1.
Così Lutero descrive la predicazione cristiana, e così,
fondamentalmente, ne parla questo Manuale per predicatori (anche
così potremmo intitolare lo scritto di Bruno Rostagno,
Predicare. La fede nasce dallascolto), che non a caso insiste
a più riprese sul «movimento del testo» (pp.
22, 23, 24, 31): «Per predicare bisogna entrare nella vita
del testo, nel suo movimento» (p. 22).
Lutero, nel brano ora citato, chiarisce bene che cosè
questo «movimento del testo»: è il movimento
col quale Cristo viene a noi o ci conduce a sé. Nel movimento
delle parole umane si muove e avanza verso di noi colui che è
la «Parola fatta carne», cioè fatta uomo,
fatta storia, iscritta nel vivo dellesperienza e della
memoria umana, parola di Dio intrecciata nella trama del linguaggio
umano, che ci raggiunge oggi come allora. E qui comprendiamo
la seconda parte del titolo: «La fede nasce dallascolto»,
che è unaffermazione dellapostolo Paolo, che
però prosegue dicendo: «e lascolto si ha per
mezzo della parola di Cristo» (Romani 10,17). La fede nasce
dallascolto perché nellascolto della predicazione
avviene lincontro con Cristo che genera la fede.
Basta questa constatazione elementare a illustrare il valore
assoluto della predicazione per la genesi e la crescita della
fede, e quindi per lesistenza stessa della chiesa. La chiesa
nasce e rinasce dalla predicazione, che Lutero chiamava volentieri
«Evangelo orale». Non è certamente un caso
che Gesù non abbia scritto nulla sulla carta: ha scritto
solo nel cuore di molti mediante la sua predicazione. Gesù
è stato anzitutto predicatore. «Dopo che Giovanni
[Battista] fu messo in prigione, Gesù si recò in
Galilea predicando levangelo di Dio e dicendo
»
(Marco 1,14). Poco dopo disse ai discepoli: «Andiamo altrove,
per i villaggi vicini, affinché io predichi anche là;
perché è per questo che io sono venuto» (Marco
1,38). Gesù è venuto per predicare. Non stupisce
quindi che il primo titolo dato dal popolo a Gesù sia
stato quello di «profeta», cioè di uomo incaricato
da Dio di portare al popolo la sua Parola; tanto che alcuni lo
scambiarono per Giovanni Battista risuscitato (Marco 6,14); altri
lo chiamarono «grande profeta» (Luca 7,16) o anche
«un profeta come quelli di una volta» (Marco 6,15).
Gesù stesso sè considerato profeta quando
disse di sé: «Nessun profeta è disprezzato
se non nella sua patria, fra i suoi parenti e in casa sua»
(Marco 6,4). Gesù dunque è stato anzitutto un predicatore,
nella scia di Giovanni Battista «profeta dellAltissimo»
(Luca 1,76) e dei profeti dellAntico Testamento. E non
ha chiesto ai suoi discepoli di mettere per iscritto le sue parole.
Lo hanno fatto di loro iniziativa, per nostra grande fortuna
e benedizione, ma non perché Gesù lo abbia loro
chiesto: ha chiesto loro di predicare, come aveva fatto lui,
non di scrivere. Gesù, cioè, ha puntato tutto sulla
Parola: ad essa sola ha affidato tutto il suo messaggio e tutta
la sua opera. E attraverso la sua parola e, per estensione, quelle
della Scrittura che «gli rendono testimonianza» (Giovanni
5,39) e parlano di lui (Luca 24,44), Gesù è presente
a ogni generazione, fino alla fine della storia. E lo è,
appunto, in primo luogo attraverso la predicazione dei discepoli
che egli ha trasformato in apostoli, cioè in suoi inviati,
uomini e donne incaricate di annunciare a tutti lo stesso Evangelo
che egli ha predicato a loro e alla sua generazione. «Andate
per tutto il mondo, predicate levangelo a ogni creatura«
(Marco 16,15).
È a motivo di questo ordine che si predica e si continuerà
a predicare nella chiesa e nel mondo, «a tempo e fuor di
tempo» (II Timoteo 4,2), a savi e ignoranti, a ricchi e
poveri, a credenti e non credenti, a intellettuali e manovali,
a uomini e donne di potere e a uomini e donne senza potere, insomma,
appunto, «a ogni creatura». Tutti, senza eccezioni,
hanno il diritto di ricevere lEvangelo. Ne hanno anche
bisogno, anche se molti pensano di no. Comunque ne hanno diritto,
e a questo diritto corrisponde un dovere di chi glie lo deve
annunciare.
Paolo di Tarso, il più grande apostolo di tutta la storia
cristiana, sentiva tanto questo dovere da considerarlo un suo
«debito»: scrivendo ai cristiani di Roma dice di
sentirsi «debitore» dellEvangelo verso tutti
(Romani 1,14). Ed è proprio il desiderio di sdebitarsi
completamente nei confronti di tutti che lo indusse a progettare
un viaggio missionario spingendosi verso Occidente fino alle
estremità del mondo allora conosciuto («andrò
in Spagna»: Romani 15,28), «esercitando il sacro
servizio dellEvangelo di Dio» (Romani 15,16).
Non cè dunque alcun dubbio che la predicazione sia,
nelle varie forme in cui può essere svolta, la funzione
principale della chiesa, la prima ragion dessere della
sua esistenza, il compito primario suo e di ogni suo membro dato
che, come dice giustamente lopera che presentiamo: «Ogni
membro vivo della chiesa è un predicatore o una predicatrice
dellEvangelo. La predicazione più importante è
proprio questa:la predicazione che viene fatta ogni giorno, nelle
varie situazioni di cui i cristiani sono partecipi, nelle forme
diverse che corrispondono ai doni di ciascuno». Di solito
la si chiama «testimonianza», «ma la testimonianza
è appunto la forma quotidiana della predicazione».
Ma che cosa significa «predicare»? Che cosa distingue
una predicazione da altri discorsi pubblici, come ad esempio
una conferenza o una relazione? La differenza è questa:
che in una conferenza chi la tiene porta una parola sua, un pensiero
suo, un sapere suo; chi predica porta invece la parola, il pensiero,
il sapere non suo, ma di un altro. «La predicazione è
un discorso umano nel quale e mediante il quale Dio stesso parla,
come un re per mezzo della bocca del suo araldo»2, come
uno Stato parla per mezzo della bocca del suo ambasciatore. Ecco
quel che è un predicatore, uomo o donna che sia3: un araldo,
un ambasciatore. Lo pensava anche lapostolo Paolo che dice:
«Noi [apostoli, pastori, predicatori] facciamo da ambasciatori
per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (II
Corinzi 5,20).
Tra le varie forme di predicazione, quella classica, tradizionale
e si può dire universalmente praticata avviene
nel corso del culto domenicale, di cui costituisce «il
momento centrale». A dire il vero, tutti i momenti del
culto sono centrali, perché in ciascuno di essi è
centrale il Signore, che convoca lassemblea e la presiede.
Perciò è centrale linvocazione iniziale (che
cosa sarebbe il culto se non si svolgesse «alla presenza
di Dio»? Un culto di Dio senza Dio? Unassurdità
o una tragica farsa). È centrale il battesimo (da cui
nasce la chiesa e comincia la vita cristiana). È centrale
la confessione di peccato e lannuncio della grazia (come
potremmo sussistere davanti a Dio se non riconoscessimo le nostre
colpe, palesi e nascoste, e non ci affidassimo totalmente a Dio
presso il quale cè «misericordia e abbondanza
di redenzione»: Salmo 130,7). È centrale la lettura
biblica (che cosa cè di più centrale nella
vita della chiesa della Bibbia aperta, letta ed ascoltata? Nella
Scrittura non sono forse dichiarati più volte «beati»
gli orecchi di «quelli che odono»?). È centrale
la celebrazione della Cena del Signore (supremo atto di comunione
sua con noi e nostra con lui). Sono centrali, ovviamente, tutti
i momenti di preghiera, siano essi quelli di lode, o di adorazione,
o di intercessione, e tutti i momenti di canto, con i quali la
chiesa sulla terra si unisce a quella celeste. È centrale,
infine, la benedizione finale (che comunità sarebbe quella
che se ne va dalla «casa di Dio» senza la sua benedizione?
Non è forse questa lunica sua forza e consolazione?).
Come si vede, tutto è centrale nel culto cristiano, compresa
la colletta se questa viene vissuta, come dovrebbe, come atto
di culto. In verità, il culto cristiano è policentrico.
È però anche vero che il momento della predicazione
ha unimportanza unica perché in essa, secondo la
sua promessa, il Signore parla. La dice Gesù stesso: «Chi
ascolta voi, ascolta me» (Luca 10,16). Perché dice
così? Perché la parola del predicatore non è
sua, ma di Gesù. Egli non ci manda a «dire la nostra»,
ma la sua; la parola di cui siamo debitori non è la nostra,
ma la sua. (CONTINUA...) |