Introduzione
Nellarchivio vescovile della antica diocesi di Massa
e Populonia si conserva una raccolta di manoscritti, risalenti
allultimo quarto del XVIII secolo, che narrano la ricerca
e quindi la riesumazione dei resti mortali che allepoca
si ritennero appartenere peraltro non senza un saggio
e ragionevole margine di dubbio a San Walfredo, fondatore
dellantico monastero di San Pietro in Palazzuolo presso
Monteverdi, al beato Andrea, suo nipote e terzo abate del monastero,
ed a Leonardo di Silvio Fabbri da Castelnuovo Val di Cecina.
I documenti, che risultano tuttora inediti, permettono di ricostruire
una vicenda locale di storia ecclesiastica la quale merita di
essere percorsa, almeno nei suoi principali svolgimenti.
La questione presenta aspetti meritevoli dattenzione non
solo sotto il profilo storico ma anche quale momento daffermazione
della venerazione popolare di un personaggio il quale, senza
dubbio, aveva lasciato buona memoria di sé, quantomeno
leggendaria. Dalla lettura dei manoscritti si rileva pure un
atteggiamento saggiamente prudente da parte dellordinario
diocesano massetano. La vicenda appare coronata da fenomeni ben
noti alle cronache agiografiche; fatti che, pur non potendo essere
definiti propriamente sovrannaturali, si inseriscono sullo sfondo
della riesumazione e traslazione, quasi ammantandola di una sorta
di divina protezione. Levento, che probabilmente ebbe una
certa risonanza, determinò una partecipazione collettiva
che non fu solamente popolare, in quanto intervennero alla vicenda
tutti coloro che per le più diverse motivazioni gravitavano
intorno alla figura storica e per non pochi aspetti leggendaria
del santo: gli abitanti di Monteverdi anzitutto, i quali furono
i promotori della ricerca dei sacri resti, lordinario locale
e Vescovo della diocesi di Massa e Populonia, il quale si presentò
come promotore materiale dellintera vicenda suggellando
con il proprio beneplacito la ricerca; ma anche i monaci vallombrosani
i quali, coinvolti in una vicenda che li riguardava direttamente,
con tangibili aiuti contribuirono a sostenere parte delle spese
previste e, non ultimo, il conte Cammillo, allora rappresentante
della casata della Gherardesca, la quale riteneva di poter vantare
proprio in San Walfredo, se non il capostipite della discendenza,
almeno un diretto antenato. Tutti dunque accomunati unanimiter
in quella che fu una vera e propria caccia di reliquie, la quale
sembrava appartenere ormai ad altri e ben più lontani
tempi.
Interessi certamente diversi, quelli che animarono coloro che
presero parte alla vicenda e che contribuirono ciascuno
per proprio conto, secondo le proprie disponibilità e,
comunque, in un coinvolgimento collettivo senza esclusione alcuna
ad una ricerca che si protrasse per più di un mese
e che determinarono a far sì che la vicenda non passasse
inosservata.
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