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9788866150459

Enrico Benetti pp. 92 A5 € 9,00 Collana Poesia n. 28 2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NUVOLE E FANGO

Cosa spinge un individuo ad esporre all’attenzione e, inevitabilmente, al giudizio altrui, non tanto la capacità, più o meno elevata, di comporre versi, quanto i risvolti più intimi del proprio vissuto, da cui emergono, in maniera inequivocabile, carattere, personalità, emozioni? Inizio con questa riflessione dal momento che, mentre una produzione in prosa, racconto o romanzo che sia, non è necessariamente autobiografica anzi, il più delle volte, si proietta in una dimensione oggettiva, la poesia è, quasi inevitabilmente, in forma più o meno diretta, un’autonarrazione che presuppone la volontà e, soprattutto, il coraggio di mettere in mostra la parte più intima di sè. Chi scrive versi, più che cercare il consenso degli altri, lo fa per gratificazione personale, per dimostrare, soprattutto a se stesso, la propria particolare sensibilità, il proprio valore. Nel caso di Enrico Benetti le motivazioni sono ancora più complesse. Vivendo una fase, fortunatamente in scadenza, della propria vicenda esistenziale in cui gli è impedito, data la sua condizione di recluso, di godere delle quotidiane gratificazioni domestiche (l’affetto della madre e della moglie, la gioia di vedere, da vicino, un figlio crescere...), la scrittura è diventata per lui il modo più efficace di trovare “un’altra libertà”, quella che nessuno gli può sottrarre e che, come afferma lui stesso, gli serve per “non far atrofizzare il cervello”, per “fare viaggi introspettivi” allo scopo di “conoscersi meglio”, accettarsi e, in prospettiva, migliorarsi( ma le riconosce anche la funzione, meno nobile, di valvola di scarico, per “sputare rancori e veleno”). I circa centoquaranta componimenti di questa silloge, di varia lunghezza, da quelli di più ampio respiro ad altri quasi minimi, fino a sfiorare l’aiku, se non l’epigramma, hanno, come potente filo conduttore, la disamina della propria vicenda esistenziale, con un passato pieno di errori, certo da non rimpiangere, un presente che incombe nella sua dimensione negativa, un futuro percepito nella sua imminenza, necessariamente all’insegna della riabilitazione e del riscatto. A premessa di questa cospicua serie di “pensieri in libertà”, il titolo, fortemente allusivo: “Nuvole e Fango”, dove si condensano, efficacemente, il sublime e l’infimo, l’idealità della fantasia e la concretezza negativa del reale, il volare alto nella sfera dei desideri e la bassezza”vischiosa” della condizione attuale. Pensieri tradotti in un flusso inestinguibile di parole, con la volontà, quasi bulimica, di raccontarsi, di esporsi agli altri senza remore, senza schermi. Talvolta, nel comprensibile sforzo di dare un’immagine migliore di noi stessi, si tende a minimizzare i propri errori, ad attribuirli alle circostanze, se non all’influenza negativa di altri. Benetti, che non cerca giustificazioni o attenuanti nè, tantomeno, compassione ha anche il merito di un’assoluta sincerità. Non nasconde niente del suo passato, dalla discesa nell’abisso, a causa della droga, dal male fatto agli altri, ai suoi cari, a se stesso, fino alla lunga detenzione, ai momenti di disperazione culminati in un tentativo di suicidio miracolosamente andato a vuoto. D’altronde la scrittura, se le si vuole assegnare la funzione di autointrospezione, autoanalisi ed un possibile ruolo di catarsi, deve essere impietosa e priva di pulsioni assolutorie. Sotto gli occhi di chi legge passano così i frammenti sparsi di una vita vissuta a lungo pericolosamente ma dove hanno sempre trovato spazio i solidi legami famigliari, l’amore profondo che ha sempre nutrito per la madre, figura forte ed importante punto di riferimento, per la sorella, da poco scomparsa, per la compagna, che ha avuto il merito e la capacità di allevare, da sola, il loro figlio Andrea, la creatura che è al centro del suo cuore e dei suoi pensieri e su cui sono concentrate le speranze e le aspettative in vista dell’ormai prossimo ritorno alla “normalità”. Perchè il carcere, anche quando, come quello di Volterra, appare un luogo dove le parole recupero, riabilitazione non sono vuota retorica ma poggiano su intenti ed azioni concrete, non può perdere del tutto la sua dimensione alienante; specialmente quando, una volta presa coscienza dei propri errori e consapevolmente imboccata la via del riscatto, si ha l’effetto straniante di scontare una pena per reati commessi da quell’altro te stesso che ormai non sei più. Non rimane, dunque, che andare avanti, sopportando le piccole o grandi angherie, abituandosi alla “gravità dei luoghi più o meno fatiscenti, a cancelli ed inferriate.... alle norme ed alle regole più discutibili, alle nevrosi di chi le mette in atto..”, sforzandosi di mantenere la propria dignità di persone, rifiutandosi di “cessare di essere considerati uomini” e, soprattutto, (re)imparando a vivere “di verità e di valori”. Benetti che, per sua esplicita e fin troppo modesta ammissione, non “conosce metrica” nè “sa di quartine”, nel suo “aprirsi l’anima” riesce a coinvolgere il lettore in un percorso poetico che trasuda di dolente umanità e da cui emerge, nonostante tutto, una visione positiva della vita. Una non comune sensibilità nel selezionare le parole “giuste” e la capacità di creare, non di rado, immagini di suggestiva efficacia, costituiscono il valore aggiunto di questa silloge già lodevole per contenuto ed intenti.

 

Pablo Gorini

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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