Cosa spinge un individuo ad esporre allattenzione e,
inevitabilmente, al giudizio altrui, non tanto la capacità,
più o meno elevata, di comporre versi, quanto i risvolti
più intimi del proprio vissuto, da cui emergono, in maniera
inequivocabile, carattere, personalità, emozioni? Inizio
con questa riflessione dal momento che, mentre una produzione
in prosa, racconto o romanzo che sia, non è necessariamente
autobiografica anzi, il più delle volte, si proietta in
una dimensione oggettiva, la poesia è, quasi inevitabilmente,
in forma più o meno diretta, unautonarrazione che
presuppone la volontà e, soprattutto, il coraggio di mettere
in mostra la parte più intima di sè. Chi scrive
versi, più che cercare il consenso degli altri, lo fa
per gratificazione personale, per dimostrare, soprattutto a se
stesso, la propria particolare sensibilità, il proprio
valore. Nel caso di Enrico Benetti le motivazioni sono ancora
più complesse. Vivendo una fase, fortunatamente in scadenza,
della propria vicenda esistenziale in cui gli è impedito,
data la sua condizione di recluso, di godere delle quotidiane
gratificazioni domestiche (laffetto della madre e della
moglie, la gioia di vedere, da vicino, un figlio crescere...),
la scrittura è diventata per lui il modo più efficace
di trovare unaltra libertà, quella che
nessuno gli può sottrarre e che, come afferma lui stesso,
gli serve per non far atrofizzare il cervello, per
fare viaggi introspettivi allo scopo di conoscersi
meglio, accettarsi e, in prospettiva, migliorarsi( ma le
riconosce anche la funzione, meno nobile, di valvola di scarico,
per sputare rancori e veleno). I circa centoquaranta
componimenti di questa silloge, di varia lunghezza, da quelli
di più ampio respiro ad altri quasi minimi, fino a sfiorare
laiku, se non lepigramma, hanno, come potente filo
conduttore, la disamina della propria vicenda esistenziale, con
un passato pieno di errori, certo da non rimpiangere, un presente
che incombe nella sua dimensione negativa, un futuro percepito
nella sua imminenza, necessariamente allinsegna della riabilitazione
e del riscatto. A premessa di questa cospicua serie di pensieri
in libertà, il titolo, fortemente allusivo: Nuvole
e Fango, dove si condensano, efficacemente, il sublime
e linfimo, lidealità della fantasia e la concretezza
negativa del reale, il volare alto nella sfera dei desideri e
la bassezzavischiosa della condizione attuale. Pensieri
tradotti in un flusso inestinguibile di parole, con la volontà,
quasi bulimica, di raccontarsi, di esporsi agli altri senza remore,
senza schermi. Talvolta, nel comprensibile sforzo di dare unimmagine
migliore di noi stessi, si tende a minimizzare i propri errori,
ad attribuirli alle circostanze, se non allinfluenza negativa
di altri. Benetti, che non cerca giustificazioni o attenuanti
nè, tantomeno, compassione ha anche il merito di unassoluta
sincerità. Non nasconde niente del suo passato, dalla
discesa nellabisso, a causa della droga, dal male fatto
agli altri, ai suoi cari, a se stesso, fino alla lunga detenzione,
ai momenti di disperazione culminati in un tentativo di suicidio
miracolosamente andato a vuoto. Daltronde la scrittura,
se le si vuole assegnare la funzione di autointrospezione, autoanalisi
ed un possibile ruolo di catarsi, deve essere impietosa e priva
di pulsioni assolutorie. Sotto gli occhi di chi legge passano
così i frammenti sparsi di una vita vissuta a lungo pericolosamente
ma dove hanno sempre trovato spazio i solidi legami famigliari,
lamore profondo che ha sempre nutrito per la madre, figura
forte ed importante punto di riferimento, per la sorella, da
poco scomparsa, per la compagna, che ha avuto il merito e la
capacità di allevare, da sola, il loro figlio Andrea,
la creatura che è al centro del suo cuore e dei suoi pensieri
e su cui sono concentrate le speranze e le aspettative in vista
dellormai prossimo ritorno alla normalità.
Perchè il carcere, anche quando, come quello di Volterra,
appare un luogo dove le parole recupero, riabilitazione non sono
vuota retorica ma poggiano su intenti ed azioni concrete, non
può perdere del tutto la sua dimensione alienante; specialmente
quando, una volta presa coscienza dei propri errori e consapevolmente
imboccata la via del riscatto, si ha leffetto straniante
di scontare una pena per reati commessi da quellaltro te
stesso che ormai non sei più. Non rimane, dunque, che
andare avanti, sopportando le piccole o grandi angherie, abituandosi
alla gravità dei luoghi più o meno fatiscenti,
a cancelli ed inferriate.... alle norme ed alle regole più
discutibili, alle nevrosi di chi le mette in atto.., sforzandosi
di mantenere la propria dignità di persone, rifiutandosi
di cessare di essere considerati uomini e, soprattutto,
(re)imparando a vivere di verità e di valori.
Benetti che, per sua esplicita e fin troppo modesta ammissione,
non conosce metrica nè sa di quartine,
nel suo aprirsi lanima riesce a coinvolgere
il lettore in un percorso poetico che trasuda di dolente umanità
e da cui emerge, nonostante tutto, una visione positiva della
vita. Una non comune sensibilità nel selezionare le parole
giuste e la capacità di creare, non di rado,
immagini di suggestiva efficacia, costituiscono il valore aggiunto
di questa silloge già lodevole per contenuto ed intenti.
Pablo Gorini |