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EAN 9788889971413

Camarri Desi, Figlie di Era, p. 118 € 18,00 Bross. Nuovi autori n. 9 2008.

 

  a richiesta è disponibile la versione in e-book pdf Ordine E-book € 9,00

Questo è un libro che volendo tutti potranno leggere, tutti eccetto io che l'ho scritto. Scritto non è il termine esatto, io l'ho pensato, ideato, dettato al mio registratore. Da anni una strana malattia mi impedisce di leggere, di scrivere, perché se mi provo a farlo, anche con una sola parola, mi si scatenano violente emicranie. Così pian piano ho finito per non leggere e non scrivere nel senso più letterale del termine, perché in realtà ho continuato ad ascoltare centinaia di libri, grazie al prezioso ed insostituibile servizio dell'Unione Italiana Ciechi e delle varie nastroteche del "Libro Parlato" sparse in tutta Italia. Erano anni che volevo scrivere storie di donne, le donne che ho incontrato nella mia vita, che mi hanno fatto compagnia, che hanno diviso con me giorni importanti o solo qualche ora, donne dalle storie uniche e irripetibili ma finché potevo farlo, me ne era mancato il tempo e quando il tempo mi venne regalato in abbondanza non potevo più scrivere. Un pomeriggio Pina, una mia amica catanese, mi telefonò per salutarmi e, fra le altre cose, mi raccontò che stava facendo volontariato presso un istituto di disabili gravi, dove viveva una ragazza di circa venti anni, colpita da un morbo implacabile, che le aveva paralizzato tutti i muscoli del corpo e tolto la parola, mentre il suo cervello continuava a funzionare perfettamente. L'unico movimento che riusciva ancora a fare era un lieve tentennamento del capo. Qualche anima benedetta le aveva costruito un casco con dei sensori collegati alla tastiera di un computer, che lei muovendo ritmicamente la testa, azionava. Lentamente aveva scritto la storia della sua vita! Se la ragazza siciliana era riuscita a superare il suo handicap molto più invalidante del mio, perché non avrei potuto tentare anche io di superare il mio limite e dare finalmente corpo al mio libro? Dettare non è come scrivere, c'è poi il problema di correggere, rielaborare brani, di aggiungere e togliere parti, ma ormai il dado era tratto. Ero ben decisa a non lasciarmi scoraggiare da niente e da nessuno. Un'amica mi suggerì di ricorrere ad un sintetizzatore vocale, ma già anni prima avevo tentato questo uso del computer, senzaarrivare a capo di nulla; perciò decisi che il registratore sarebbe divenuto il mio strumento di lavoro. A volte mi ci sono voluti contemporaneamente tre registratori per scrivere un solo paragrafo. È così che Figlie di Era ha visto la luce o sarebbe meglio dire ha sentito il suono! Uno dei metodi da me usati a scuola, con i miei alunni per far inventare loro delle storie, era quello di far scrivere su dei cartoncini un elenco di personaggi, luoghi e tempi diversi, che venivano poi mescolati ed estratti a sorte. Da quei pourpourrie erano spesso scaturite storie incantevoli. Io ho usato un po’ lo stesso metodo per scrivere questo libro, mischiando avvenimenti, tempi e luoghi appartenuti a persone diverse; pur viaggiando nel regno della pura invenzione fantastica, ognuna di queste storie contiene un germe di verità. Ognuna trae spunto da alcuni episodi realmente accaduti, li trasforma, li riduce o li ingigantisce, aggiunge o toglie particolari, offre soluzioni che le reali protagoniste non si sono mai date. Spesso i personaggi femminili mi hanno preso la mano, ed hanno dipanato il filo delle loro storie verso orizzonti che io non avevo intravisto per loro e mi hanno condotto verso lidi a me sconosciuti, dove Emma, Adriana, Delia e tutte le altre volevano andare, con me o senza di me. Le loro storie si sono mescolate…. "La vita reale e i fantasmi dell'immaginazione, in cui spesso vita e finzione si confondono, come realtà e sogno. Così le loro storie diventavano una terza terra, una dimensione originale dove convivevano fianco a fianco persone e personaggi, carne e fiaba".1 Si dice che Dio abbia creato le cose dal nulla nominandole, nella sua lingua non esistevano altro che nomi propri, in principio era il verbo! Si narra che la necessità assoluta che vincola un nome alla persona che lo porta vincolasse in principio tutte le cose del creato ai nomi che le definivano. Ognuno di noi è perciò legato dall'inizio della sua vita, ad un nome gratuito e fatale, che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni ed anche oltre. Sarà infatti con quel 1W. Veltroni “Alla scoperta dell’alba” contentezza nome, si dice, che Dio lo chiamerà di fronte a Lui il giorno del giudizio universale. Mi perdoneranno perciò le protagoniste dei miei racconti per averle private dei loro veri nomi, questo ha sottratto loro forza e bellezza. Come dice Shakespeare "Che cosa c'è in un nome? Quella che chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe così dolcemente?" Agata Christie, nella sua autobiografia, "La mia vita", si chiede come mai le persone dovrebbero interessarsi alle vite di altri, presi come sono a vivere la propria. Io credo che sia la curiosità a spingerci ad addentrarci nelle vite altrui per cercare di capire come i nostri simili rispondono ai problemi della vita quotidiana, e confrontare le loro strategie di sopravvivenza con le nostre. Credo che sia questo che mi ha sempre spinto ad ascoltare volentieri le storie di altri, soprattutto quelle delle mie sorelle donne. Storie sentite, vissute, narrate, storie di conoscenti ed amiche, storie di quotidiana follia, come qualcuno le ha definite. Volevo dar voce all'altra metà del cielo, cercando di carpire il segreto dell'eterno femminino, di cui anch'io rappresentavo una piccola scintilla. Tanti tipi di donne, diverse eppure così simili "Abbiamo così tanto in comune! Potrei dire che sono qui per raccontare una, due, tre, storie, non importa quante, noi abbiamo più o meno la stessa storia da raccontare".2 Ho fatto un gioco con la mia mente lasciandomi andare alle suggestioni provocatemi dai titoli di alcuni libri letti durante la mia vita, attingendo al vasto patrimonio della scrittura femminile. Per questi titoli avrei inventato delle nuove trame, le avrei cucite tutte insieme senza dare loro un nuovo titolo, consegnandole a delle audiocassette prima, alla carta stampata poi. Mano a mano che le figlie di Era prendevano vita diventavano sempre più figlie mie e non volevo che ci fossero per loro altri genitori oltre a me, per questo decisi che la trasposizione dai nastri alla carta stampata dovevo farla io. Acquistai un sintetizzatore vocale per il computer e lentamente imparai ad usarlo per trasferirvi le storie delle mie donne. 2 M. Serano “Noi che ci vogliamo così bene”raddoppia. ...continua nel libro
 
 
 
 
 
 
 

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