L'ultimo libro di Tomaso Carlyle m'offre una opportunità
lungamente desiderata per esprimere un giudizio generale intorno
a questo potente scrittore.
Io dico intorno allo scrittore, al suo genio e alle sue tendenze
anziché intorno a suoi libri, perché l'idea che
lo ispira mi pare assai più importante che non la forma
della quale egli va rivestendola. In questo nostro periodo di
transizione dal dubbio all'aspirazione, le vecchie idee muoiono
e pesano sull'anima come sogni a mezzo la notte; le nuove s'affacciano
belle di luminosi colori e seducenti di speranze, ma indefinite,
imperfette, come sogni del mattino. Noi tentenniamo dubbiosi
tra un passato oggi mai senza vita e un futuro la cui vita non
s'è rivelata finora, in preda talora a profondo sconforto,
talora animati di splendidi presentimenti e intenti a spiar tra
le nubi una stella che possa dirigerci.
Ciascun di noi invoca, come Herder, agli istinti della coscienza
un grande pensiero religioso che ponga fine allo scetticismo,
una fede sociale che ci salvi dall'anarchia, una ispirazione
morale che traduca quella fede in azioni e ci liberi da una oziosa
contemplazione. Ciascun di noi guarda con ansiosa speranza segnatamente
in quegli pochi negli quali i taciti sensi e le inconscie aspirazioni
delle moltitudini si riflettono in armonia colle più alte
intuizioni della coscienza individuale. La loro missione muta
coi tempi. Negli periodi d'una attività tranquilla e normale,
il pensatore somiglia a una stella che illumini e santifichi
di pura e serena luce il presente: in altri e più tempestosi,
il Genio è chiamato a precederci, quasi colonna di fuoco
in deserto, e ad esplorare per noi le terre ignote dell'avvenire.
E son questi i nostri.
Noi non possiamo in oggi contentarci di vivere cultori dell'Arte
per sé e scherzare con suoni e forme e accarezzare i nostri
sensi, ma ci sentiamo spronati in cerca d'una idea che valga
a migliorarci e salvarci. La paziente rassegnazione colla quale
un popolo ricordato da Erodoto2 ingannò coi dadi diciotto
anni di carestia non è virtù se pur merita
quel nome del secolo decimonono.
Per la natura degli suoi lavori e per l'indole speciale della
sua mente, Tomaso Carlyle provoca l'esame ch'io mi propongo.
Egli è mesto e grave: sentì fin da primi anni di
studi il male che tormenta oggi il mondo e lo denunziò
con alta intrepida voce. |