Quando mi è arrivato il manoscritto di Armando, portato
dalla figlia, ho visto subito che non era una storia comune,
come poi si dice nel titolo per umiltà, ma era ed è
la vera storia vissuta di un uomo e della sua famiglia che, attraverso
il secolo diciannovesimo, secolo pieno di contraddizioni, di
guerre, orrori e conquiste sociali, è arrivato a conquistare
un futuro migliore per sé e per i suoi figli, e ancor
oggi è convinto che ... con orgoglio (...) io e
mia moglie abbiamo cresciuto una famiglia unita, onesta e intelligente
e disponibile in qualunque bisogno.
Ma per arrivare a questo risultato ha dovuto superare molte prove,
dalla miseria, alle incertezze dei primi anni sotto il regime
fascista, in una Italia che stentava a crescere, più preoccupata
di mostrare i muscoli che il cervello, più gli egoismi
che la solidarietà.
Armando è nato ai margini di una zona famosa per le sue
miniere, che oggi sono un vero e proprio museo all'aperto e che
prima che lui nascesse davano lavoro a molti operai: questo ricorda
con nostalgia, nei suoi ricordi d'infanzia, quando abitava nel
podere di San. Antonio, dove vi erano ancora i binari della ferrovia
che portava il minerale agli imbarcaderi sulla costa. Attorno
alla sua abitazione si vedevano ancora gli ingressi della miniera
e gli edifici della società inglese Govett che stavano
rovinando per incuria.
Attraverso la sua storia, possiamo rivivere la riconversione
verso l'agricoltura di questo territorio a prevalenza mineraria
e l'impiego di molti lavoratori nella grande operazione di bonifica
della pianura che da Campiglia arriva a Piombino e Follonica.
Di questo fatto narra un piccolo episodio che ha per protagonista
un personaggio famoso nella zona, Lippi Bruno (da cui tra l'altro
prese il soprannome). Un giorno, tale Lippi stava visitando gli
operai impegnati negli scavi della bonifica, i quali avevano
lasciato le loro scarpe sull'argine dei fossi; se le videro bucherellare
a colpi di pistola dallo stesso Lippi, cosa che li sconcertò
ma c'era una ragione umanitaria profonda in quel gesto, giacché
quella scarpe erano vecchie e piene di buchi e con quel gesto
volle rimediare in parte ad un piccola ingiustizia
economica ricomprando loro altre nuove.
Nella sua infanzia poi, riusciamo a fotografare il mancato ruolo
dell'istruzione: veniva data solo quella indispensabile e ciò
comportava il mantenimento e le differenze delle classi sociali
in auge a quell'epoca. Erano ben lontane le rivendicazioni sociali
e sindacali del dopoguerra.
Nonostante queste limitazioni, Armando si fa spazio inventando
il mestiere di calzolaio, poi prende la licenza elementare per
poter assumere anche il ruolo di cantoniere, mestiere a quel
tempo molto apprezzato e con stipendio sicuro.
Nel 1943 però, l'inutile guerra di conquista e di potere,
che durava da tre anni, rovinò le sue speranze e quelle
di molti italiani; fu chiamato al servizio militare, cosa che
cercò dapprima di evitare, ma alla fine dovette andare
a malincuore alla caserma di Rovezzano, presso Firenze. Una caserma
famosa, dove si addestravano i giovani per entrare nel nuovo
esercito della RSI; molti si rifiutarono di aderire, alcuni fuggirono
e divennero partigiani nella nostra zona. Armando riuscì
con un escamotage a farsi ricoverare in ospedale e poi, con la
scusa della licenza, scappò verso casa pur di non aderire
al regime fascista e riuscì a farla franca mentre altri
vennero fucilati in un'inutile guerra fratricida.
Finita la guerra, arrivano gli anni della ricostruzione e
Armando è sempre più impegnato nel nuovo lavoro
di calzolaio e questa volta con profitto. Anche lui poi farà
parte di quella classe imprenditrice che provocherà con
il duro lavoro e l'impegno il famoso miracolo economico italiano
degli anni '60, quando anche i politici, che venivano dal popolo
e non erano scelti dal potere, erano in sinergia con il Paese.
Maggioranze e minoranze insieme fecero diventare l'Italia uno
dei primi Paesi industrializzati.
Armando insomma è la cartina di tornasole di questo periodo
storico, così come lo sono stati milioni di altri italiani
comuni che hanno costruito il nostro Paese e di cui
possiamo andare orgogliosi.
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